Oscure le ragioni del perché siano i cittadini a doverlo finanziare
AMIATA. L’Italia non solo è in overcapacity energetica, ma corre il rischio di importare energia pagandola a caro prezzo, contribuendo per giunta all’inquinamento da fonti fossili e impelagandosi in discutibili operazioni finanziarie. E’ questo il desolato e desolante quadro tracciato da Alessandro Codegoni, della redazione di QualEnergia, che inizia il suo lavoro con alcune premesse storico-cronolgiche.
Lo studioso parte dallo spavento del blackout del 2003 e dalle strade intraprese dai nostri governanti per incrementare le forniture. Tra queste anche l’elettrodotto fra Balcani e Italia, con approdo in Abruzzo. Nonostante che per lo sviluppo delle fonti alternative l’Italia sia passata in overcapacity, il progetto non è stato abbandonato mentre i costi, secondo le più ottimistiche previsioni, sono lievitati ad almeno un miliardo di euro. Pochi mesi fa il governo Renzi ha confermato che il cavo verrà ugualmente posato, tanto che Terna ha già cominciato i lavori sulla sponda italiana, “anche se ormai non è più chiaro a cosa dovrebbe servire, a parte contribuire a far rispettare la quota minima europea del 10% di interconnessione fra paesi, che però poteva magari essere soddisfatta con un’opera meno costosa e connettendoci con nazioni più adatte del piccolo Montenegro, non proprio un esempio di trasparenza e incorruttibilità. Oltretutto se l’elettricità montenegrina dovesse correre oggi verso l’Italia sarebbe per il 64% prodotta con il carbone; quindi ci allontanerebbe dagli obbiettivi climatici”. In precedenti lavori lo studioso, secondo una sua fonte, aveva affermato che “l’interconnessione era stata mantenuta in vita nel 2010 dal governo Berlusconi anche per fare un favore alla utility A2A, in maggioranza controllata dai comuni di Milano e Brescia, che aveva fatto un rischioso investimento in centrali elettriche in Montenegro, recuperabile, probabilmente, solo esportando kWh in Italia a prezzi ben più alti di quelli che vengono pagati, quando vengono pagati, nel paese balcanico. Pochi giorni fa a questa già intricata vicenda si è aggiunto un ulteriore capitolo.
Nel blog su Il Fatto Quotidiano tenuto da Mario Agostinelli, portavoce del ‘Contratto mondiale per energia e clima’, è apparsa la notizia che A2A avrebbe intenzione di costruire una nuova centrale a lignite in Montenegro, raddoppiando la potenza di quella esistente, e che la decisione si sarebbe potuta ratificare nell’assemblea annuale dell’11 giugno”. «La notizia – spiega Agostinelli – arrivava dagli abitanti di Pljevlja, dove si trovano la miniera di lignite e la relativa centrale, allarmati dalla possibilità di un raddoppio del già inquinante impianto. È il governo del Montenegro che vuole assolutamente quest’opera delegandone la realizzazione a Epcg, la società che gestisce le altre centrali del paese, di cui A2A detiene il 42% e il governo il resto».
Quindi pare proprio che il Montenegro sia deciso a raddoppiare la sua produzione di energia elettrica, ma non con le fonti rinnovabili che noi volevamo importare dai Balcani, bensì con il più inquinante e climalterante dei combustibili, la lignite. Per capire come cambierebbe la produzione elettrica locale con questa nuova centrale basti considerare che Epcg oggi produce circa 1,5 TWh idroelettrici annui in Montenegro, e 1,2 dalla centrale a lignite di Pljevlja. Con il nuovo impianto la produzione da lignite balzerebbe intorno ai 3 TWh, e, sommandola con quella idroelettrica e le possibilità di import dalla Serbia, si andrebbe ben oltre ai consumi montenegrini. «Visto che non pare proprio che il paese balcanico stia per diventare una potenza industriale affamata di energia – conclude Agostinelli – l’unica spiegazione per questa decisione è che Epcg, che presto dovrà anche recuperare i milioni investiti nel nuovo impianto di Pljevlja, conti di rivendere a noi, a prezzi concorrenziali sul nostro mercato, ma ben maggiori di quelli locali, l’elettricità montenegrina e serba, quasi interamente da lignite, utilizzando a tal scopo il famoso elettrodotto da un miliardo di euro, pagato da tutti noi per importare, almeno nelle originarie intenzioni, energia green dai Balcani».
La paradossale inversione dei fini di questa opera rende ancora più oscure le ragioni del perché siano i cittadini a doverla finanziare: importare energia prodotta in modo inquinante non fa bene all’ambiente, allontana il rispetto dei nostri impegni sul clima e contrasta con ogni dichiarazione pubblica dei nostri governanti nei consessi internazionali, ultima delle quali quella al G7 in Germania, dove con gli altri ci siamo impegnati a fare di tutto per mantenere l’aumento di temperatura globale sotto i 2°C. E, fra l’altro, se un domani (chissà i miracoli talvolta accadono) i governi del mondo, decidessero sul serio di combattere il global warming, imponendo carbon tax nazionali e globali, forse l’affarone dell’energia sporca del Montenegro, potrebbe anche rivelarsi non tanto proficuo. Quindi, conclude Codegoni, se lo Stato balcanico, ed eventualmente A2A, se resterà in Ecbg, vogliono esportare elettricità da lignite in Italia, l’elettrodotto almeno se lo paghino da soli, che a produrre energia piena di gas serra, volendo, siamo capaci anche da soli”.