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di Fabrizio Pinzuti
AMIATA. E’ proprio vero, come si legge nei comunicati dei soliti interessati, che in Italia c’è sete – e fame – di energia e che se vogliamo dare impulso alla nostra attività manifatturiera, qualche sacrificio dobbiamo accollarcelo e di qualche rinuncia dobbiamo essere capaci, anche in considerazione della “buona qualità” delle scelte operate nel settore delle rinnovabili, ecosostenibili, ecocompatibili o come diavolo si vogliono definire le “nuove” energie? Al di là delle dichiarazioni di facciata e di circostanza c’è un reale interesse alla loro produzione?
La domanda sorge spontanea, direbbe Michele Lubrano, leggendo la sempre più copiosa letteratura sull’argomento e cercando di fornire una risposta agli interrogativi sollevati. Ultimo, in ordine di tempo ma non di importanza, lo “speciale” di Arturo Belli apparso in Accademia Kronos (AK) del 21 agosto scorso, con un titolo che ben anticipa i contenuti dell’articolo, “Rinnovabili in Italia, il sottile inganno per bloccarle”. Lo studioso esordisce ricordando che “ l’Italia ha sottoscritto a dicembre 2015 l’accordo di Parigi sul clima e lo ha pure ratificato ad aprile di quest’anno a New York. Tra i tanti passaggi previsti nell’accordo c’è quello di rinunciare ai combustibili fossili entro il 2050 a beneficio delle fonti rinnovabili”.
L’accordo di Parigi non è solo un punto di partenza, ma anche di arrivo, perché in Italia qualcosa si è mosso sul fronte delle rinnovabili già a partire dal 2000, quando, cercando di colmare, almeno in parte, il gap rispetto alle altre nazioni europee e di togliersi di dosso la maglia nera nel campo dell’efficienza e dell’efficientamento energetici, “i nostri governi cominciano a promuovere la scelta delle rinnovabili con finanziamenti, contributi a fondo perduto e vari incentivi finanziari per le istallazioni di impianti alternativi a quelli fossili. Dal 2008 in poi tetti di case, capannoni, terreni cominciano a riempirsi di pannelli fotovoltaici e poi sulle creste dei monti e sulle colline appaiono i generatori eolici. E’ questo un crescendo inarrestabile che presto porta il nostro Paese ad avere dalle fonti di energia rinnovabile oltre il 41% (19% idroelettrico + 23% fotovoltaico, eolico, biomasse, biogas), riducendo così in maniera consistente l’import dei combustibili fossili. Un qualcosa di sbalorditivo che nel 2013 ha portato l’Italia ad essere una nazione leader nella produzione di energia elettrica a livello mondiale, superando la stessa Germania che in quell’anno si era attestata al 39% di produzione dalle rinnovabili contro il 41% nostro. Altro fatto interessante, sempre registrato nel 2013: grazie all’operazione sull’energia rinnovabile avevano trovato occupazione circa 100.000 persone”.
Tutto bene dunque, anche sul fronte delle eminori emissioni di gas serra? Magari! Il 2013 può essere ricordato come l’anno in cui “gli affaristi e le grandi lobby italiane del petrolio e del gas pian piano sono riusciti a convincere prima il governo Monti, poi quello Letta ed infine l’attuale governo Renzi a porre un freno a questo entusiasmo “ecologista” sulle energie pulite. Ma che potere avevano e hanno questi oscuri personaggi dei combustibili fossili, per condizionare i nostri governi? Un grande potere, perché sono rappresentati dentro i ministeri da dirigenti, vecchi funzionari, nonché da politici che per vari motivi (facili da immaginare) prediligono gli inquinanti fossili alle pulite e sane energie rinnovabili. Il potere e la forza di questi oscuri personaggi li abbiamo appena assaggiati con l’ultimo referendum contro le trivellazioni a mare per il petrolio”. La solita bordata e la scontata facile dietrologia contro i “poteri forti e occulti”, condita dall’amarezza dell’esito referendario? Non sembrerebbe, dall’abbondanza e dalla precisione dei dati tecnici e statistici citati.
“Già prima del 2013 erano iniziate le operazioni di disincentivazione verso le rinnovabili, prima abbassando il cosiddetto premio di produzione a kWh, poi obbligando i proprietari di impianti soprattutto fotovoltaici ad una sorta di burocrazia inconcepibile, obbligandoli ogni volta a compilare moduli su moduli, poi eliminando quasi del tutto gli incentivi e, infine, paventando il rischio di restituire parte degli incentivi già erogati a causa di una possibile revisione nazionale dei premi di produzione energia. In questa “oscura operazione” partita alcuni anni fa, decine e decine di piccole e medie imprese nate proprio sulle energie alternative sono fallite e i 100.000 posti di lavoro agli inizi del 2013 oggi si sono ridotti a soli 20.000 posti. Ovviamente il trend che vedeva l’Italia tra i primi al mondo nell’uso delle rinnovabili si è fermato.
Mentre paradossalmente anche paesi come la Slovenia, la Romania, la Serbia e tanti altri puntano sempre di più sulle rinnovabili, offrendo incentivi e premi di produzione”. Dall’accordo sul clima di Parigi Belli era partito e con quello chiude il suo lavoro: “Viene spontaneo chiedere al nostro governo da che parte sta e chiedere anche perché ha firmato l’accordo … quando sapeva già che alla fine non lo avrebbe rispettato?”.
Sul traliccio di questa domanda se ne sostiene, come di conseguenza, un’altra: come è possibile che i cittadini, nella stragrande maggioranza sinceramente interessati a energie pulite e rispettose dell’ambiente, siano considerati solo come “parco bovi” da tartassare attraverso addizionali e altri aggi sulle bollette energetiche e da convincere con ogni mezzo, apparentemente lecito, come telefono, email, social ecc.? Si sta riproponendo, anche se camuffata, la logica, propria del tempo e del regime fascista, del “se vuoi andare in c… a tutti e al governo, paga la gabella”?.