di Fabrizio Pinzuti
AMIATA. Sulla stampa sono rimbalzate con una certa frequenza in questi ultimi tempi le dichiarazioni dell’’ingegnere islandese Thorleikur Johannesson, invitato dalla statunitense Cornell University – che sta valutando l’energia geotermica per riscaldare il campus universitario. Nel suo intervento “The Potential of Geothermal Energy: Lessons From Iceland” Johannesson ha ricordato come l’Islanda abbia iniziato a lasciare il carbone come principale fonte energetica per la geotermia alla fine degli anni ’30 e che oggi il 29% dell’elettricità viene coperto dalla geotermia, utilizzata anche per riscaldare le case islandesi: un impiego pienamente sviluppato nella capitale, Reykjavik, i suoi sobborghi e attraverso i piccoli paesi.
“Alcuni danno per scontato lo sviluppo dell’energia geotermica in Islanda ma non è sempre stato così. Sono serviti 90 anni per arrivare dove siamo. Lo sviluppo dell’energia geotermica è avvenuto progressivamente strada per strada, casa per casa. La maggior parte dei politici in Islanda sono stati pro-geotermico, e pensiamo sia importante avere la politica dalla nostra parte». Come testimonianza eccellente della validità della scelta geotermica e del sostegno in sede politica vengono anche citate le parole di Ólafur Ragnar Grímsson, presidente dell’Islanda per vent’anni (dal 1996 al 1 Agosto scorso), che rammentando i momenti della propria infanzia, descrive le foto scattate allora a Reykjavík, con lo smog da carbone che contaminava il cielo: “Una nuvola nera che rappresentava una delle caratteristiche costanti della città. Ora tutto questo è cambiato. L’Islanda è riuscita a trasformare la sua economia dalla dipendenza da carbone e petrolio all’energia pulita nella durata di una sola generazione. Sono fermamente convinto che se noi abbiamo potuto farlo, anche altri possono».
Non si sa se queste due citazioni possano essere interpretate come un invito ad amministratori e politici italiani a allinearsi e a non mettersi di traverso per ostacolare lo sviluppo della geotermia, sempre ammesso che qualcuno dei nostri politici e amministratori abbia tali intenzioni. Si sa tuttavia che la geotermia è collegata a fenomeni di vulcanismo secondario diversi e con effetti diversi da zona a zona. Per esempio anche nello studio sullo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree geotermiche della Toscana redatto dal CNR di Pisa – Fondazione Monasterio sono emersi riscontri diversi sulla popolazione nell’area tradizionale di Larderello e dintorni rispetto all’area amiatina. L’esperienza finlandese non può essere trasportata tout cour in altre realtà. In un nostro articolo del 29.6.2015 (“L’ultima frontiera della geotermia: l’Islanda”), si ricordava che nel paese vulcanico per antonomasia, in cui la popolazione è abituata a convivere con fenomeni naturali “ad alta e continua intensità”, con picchi mai registrati in altre parti della terra, tecnologia e scienza cercano di procedere sullo stesso binario, che l’intreccio tra scienze pure e applicate fa scuola, anche sul piano politico e sulla redazione e dell’adozione di appropriati strumenti legislativi e normativi, assai più dettagliati e meno permissivi di quelli attualmente in vigore da noi, sul fronte delle concessioni e dei necessari controlli da parte delle varie autority (“con gli articoli scientifici pubblicati vengono preparati rapporti completi sulle lezioni pratiche apprese. La Icelandic National Power Company li utilizza per migliorare le sue prossime operazioni di trivellazione”).
Non siamo in possesso di esperienze e competenze specifiche e dirette in materia ma da quanto si può leggere, pur nella posizione di profani relegati ad ascoltare funzioni religiose fuori dal tempio, anche in pubblicazioni ad hoc quali Green Me e Green Report, nutriamo qualche dubbio – senza voler seguire la solita becera esterofilia e solo per ricordare che non si è né si può essere pregiudizialmente contrari alla geotermia – sulla possibilità di autorizzare nell’isola atlantica – dove rispettando il principio di cautela si arriva perfino a sfruttare l’energia dei vulcani in attività – della costruzione di centrali con emissioni, certificate dall’ARPAT, come quelle dell’Amiata, centrali che, secondo studiosi universitari e di alto profilo scientifico quali Basosi e Bravi, sono ritenute più inquinanti di quelle a carbone. In altre parole l’esperienza islandese dovrebbe essere presa ad esempio non solo per quanto è sfruttata la geotermia ma anche è soprattutto per come viene sfruttata, assicurando i migliori livelli di garanzia ambientale e sanitaria.