Nessuno vuole più le centrali atomiche
di Lexdc
SIENA. Il ricordo della catastrofe di Chernobyl è stato recentemente oscurato, dopo 26 anni, dalla tragedia di Fukushima, che ha conseguito il risultato di far uscire il Giappone repentinamente dal nucleare e dalla produzione di energia elettrica con quella fonte di energia. I giapponesi, spietati fino all’ultimo, hanno adottato un piano di ristrutturazione feroce, applicando rigidamente tutte le norme esistenti per favorire il risparmio energetico, hanno riattivato centrali in disuso, ma hanno centrato il bersaglio in un solo anno: a oggi di 54 centrali nucleari esistenti ne è in funzione solo una. Ma i reattori di Fukushima si trovano in condizione di rientrare “temporaneamente o parzialmente” in criticità, che vuol dire ancora emergenza piena nel Sol Levante. La sfiducia nella sicurezza delle centrali nucleari è totale in tutto il mondo, nonostante che in alcuni paesi la lobby del settore sia ancora viva: perfino in Francia i costi continuamente lievitati per la centrale di Flamanville (che non riesce a vedere la luce) sono stigmatizzati dalla popolazione.
Prima Chernobyl e poi Fukushima hanno costretto tutta una serie di Paesi a rivedere il loro atteggiamento verso il nucleare. Negli ultimi 26 anni non sono state costruite nuove centrali negli Stati Uniti. Ora Germania, Svizzera e Belgio stanno discutendo di come chiudere i loro reattori. La Spagna è in procinto di votare il “no” a nuovi reattori e l’Italia ha deciso di non dare il via a qualsiasi industria dell’energia nucleare. In questi giorni Edf ha abbandonato la società mista con Enel che doveva realizzare la seconda era nucleare italiana, cardine del programma dell’ultimo governo Berlusconi. Nel marzo di quest’anno, la Bulgaria ha deciso di fermare la costruzione della sua centrale a Belene, nonostante le perdite finanziarie da sostenere. Questo è il primo esempio in cui un contratto internazionale attivo per la costruzione di una centrale nucleare è stato dissolto. Il Messico sta annullando la costruzione di 10 reattori nucleari in favore dello sviluppo di nuove centrali a gas. Il Parlamento lituano sta per sottoporre a referendum popolare il prossimo 12 ottobre il progetto di costruzione della centrale nucleare di Visaginas. L’India ha fortissime difficoltà per avviare il suo impianto nucleare di Kudankulam: si sono levate alte le proteste di migliaia di cittadini e dei residenti locali a causa dell’elevato rischio sismico della zona scelta.
Impressione ha destato pure il conto economico del disastro nipponico: a oltre un anno di distanza per la bonifica e il risarcimento alle vittime, è stata spesa la somma di 245 miliardi dollari.
In Francia, dove ben il 78% della sua energia viene prodotta con l’atomo, François Hollande, candidato presidente all’Eliseo, ha proposto di tagliare di un terzo la dipendenza dee Paese dal nucleare entro il 2025. Anche la Cina, che vuole chiudere i grandi impianti alimentati a carbone, e che sta costruendo centrali nucleari più di chiunque altro, ha iniziato a investire ingenti risorse nelle energie rinnovabili, guardando al futuro di questa fonte energetica. Il fuggi fuggi dell’imprenditoria mondiale dal settore è impressionante e i mercati dell’uranio, che erano esplosi all’epoca del pronunciamento berlusconiano, si sono drasticamente ridimensionati.
Ma il dato di fondo essenziale è che produrre energia elettrica con il nucleare è antieconomico. Senza cospicui finanziamenti pubblici l’energia atomica non può sopravvivere in un’economia di mercato. E i finanziamenti pubblici generano corruzione e lassismo. Nessun Paese basato su un’economia di mercato ha costruito una sola centrale dopo il disastro di Chernobyl. L’energia nucleare richiede un grande sostegno a livello di governo. Le centrali in Russia e in Cina appartengono allo Stato. Fino al 2004, il governo francese possedeva interamente Electricité de France, che gestisce ogni centrale nucleare nel Paese. Ancora oggi, però, oltre l’80% delle azioni della società appartengono al governo.
Quando un governo mette mano all’impresa dell’atomo, i suoi costi elevatissimi e poco trasparenti allontanano gli investitori privati: fin dalla progettazione fino allo smantellamento sicuramente i rischi vengono trasferiti nei portafogli dei contribuenti.
La lezione di Fukushima non è stata compresa da tutti. I disastri di Chernobyl e Fukushima hanno dimostrato che l’energia nucleare è vulnerabile per molti motivi, spesso del tutto imprevedibili. I governi e la gente comune vogliono garanzie di sicurezza e fattibilità economica: qualità che, si deve constatare, l’energia nucleare oggi non possiede. Con buona pace di Veronesi, Testa e la schiera dei nuclearisti italioti.