È il primo paese ad utilizzare direttamente il calore del magma
di Fabrizio Pinzuti
AMIATA. L’ultima frontiera della geotermia: produrre energia dal magma piuttosto che dalla roccia solida. La notizia arriva dall’Islanda, il paese più vulcanico e più geotermico del mondo e anche il primo ad utilizzare il calore attraverso materiale fuso, non solido, nonché il secondo paese, dopo l’esperimento delle Hawaii nel 2007, a forare la terra fino ad arrivare al magma. La geotermia si basa sullo sfruttamento del calore naturale della terra; quello prodotto da un vulcano è decisamente più elevato. Perché allora non sfruttarlo per produrre energia pulita? È quello su cui si stanno cimentando gli scienziati dell’Iceland Deep Drilling Project (IDDP) che fa capo all’Autorità per l’Energia Nazionale d’Islanda (Orkustofnun) e ad altre quattro società private. Tutto cominciò qualche anno fa, quando durante la perforazione del pozzo di Krafla per l’IDDP, nel nord-est dell’Islanda, gli ingegneri notarono qualcosa di strano. I sensori segnalarono di aver colpito una zona con temperature di 1000° C, che produceva enormi sfiati di vapore le cui temperature si aggiravano attorno a 450° C. Con stupore, il team si rese conto di aver rotto una camera magmatica piena, 5 km al di sotto della superficie della terra. Allora utilizzarono quel calore per generare 36 megawatt di potenza. Si pensò così di sfruttarne ulteriormente le caratteristiche per produrre energia, dando vita al primo sistema energetico geotermico basato sul magma. Il pozzo, noto oggi come IDDP-1, sorge a ridosso della caldera Krafla, profonda circa 2 km. Krafla include uno dei due più famosi crateri Víti (in islandese inferno) con un lago all’interno, l’altro si trova nell’Askja.
In realtà con i pozzi più profondi, l’Iddp è alla ricerca di qualcos’altro: la “supercritical water” cioè l’acqua che alle alte temperature ad alle alte pressioni sotterranee entra in uno stato supercritico, nel quale non è né gas né liquido, ed è carica di molta più energia che, se sfruttata correttamente, in superficie può aumentare di 10 volte il “power output” (emissione di potenza) da 5 MW a 50MW. Ciò richiede la foratura a profondità superiori a 4.000 metri per sfruttare le temperature di oltre 400° C. Ad una velocità di circa 0,67 metri cubi al secondo potrebbero essere generati circa 45 MW. Così pensato, il progetto potrebbe essere un passo importante verso lo sviluppo delle risorse geotermiche ad alta temperatura. Quello di Krafla potrebbe non essere l’unico foro realizzato in Islanda. Il progetto prevede infatti la creazione di un’altra cavità nella penisola di Reykjanes, nel sud-ovest del paese. Ora un numero speciale (Iceland Deep Drilling Project: The first well, IDDP-1, drilled into Magma) di Geothermics presenta in dettaglio le opere d’ingegneria e risultati scientifici ottenuti dopo che si è deciso di non richiudere il pozzo con il calcestruzzo, come avvenuto alle Hawaii nel 2007, e di tentare invece di sfruttare l’incredibile calore geotermico del magma.
I primi risultati delle osservazioni e degli studi di questi ultimi anni hanno avuto la supervisione del professore emerito della University of California (a Riverside), Wilfred Elders, co-autore di tre dei quindici saggi dedicati ai risultati delle ricerche, con i sui colleghi islandesi Guðmundur Ómar Friðleifsson e Bjarni Pálsson. Si è anche cercato, sotto la loro supervisione scientifica, di approfondire il pozzo, mettendo un contenimento di acciaio e lasciando una sezione perforata nella parte inferiore più vicina al magma. Il calore dovrebbe così risalire lentamente nel pozzo e produrre vapore surriscaldato ed energia. Il vapore ad alta pressione è incanalato da mesi a temperature di oltre 450° C, un record mondiale, mentre le risorse geotermiche sfruttate in altri paesi raramente raggiungono temperature superiori a 80° C.
A conferma che tecnologia e scienza cercano di procedere sullo stesso binario Elder ha detto: «Mentre l’esperimento a Krafla ha subito varie battute d’arresto che hanno spintolo staff e le attrezzature ai loro limiti, il processo in sé è molto istruttivo. Così come gli articoli scientifici pubblicati abbiamo preparato rapporti completi sulle lezioni pratiche apprese. La Icelandic National Power Company li utilizzerà per migliorare le sue prossime operazioni di trivellazione». Gli ha fatto eco Gillian Foulger , un geofisico dell’università britannica di Durham, che ha lavorato nell’area di Krafla negli anni ’80, durante un periodo di attività vulcanica. Ed è proprio questo intreccio tra tecnologia e scienza, tra scienze pure e applicate, che l’esperimento fa scuola. (Fonti GreenMe, GreenReport: qui)