A tutela della biodiversità contro il metodo killer per la ricerca di idrocarburi
di Fabrizio Pinzuti
ROMA. Il fallimento del referendum contro le trivellazioni ha comportato anche la perdita di un’occasione per tutelare la biodiversità dei mari. Infatti il metodo più utilizzato per la ricerca di idrocarburi nei fondali marini di tutta Italia per la sua capacità di fornire un rilievo dettagliato e affidabile della stratigrafia dei fondali marini è l’airgun, un meccanismo che attraverso il rapido rilascio di aria compressa produce una bolla che propagandosi nell’acqua irradia onde a bassa frequenza, il cui rumore è pari a 100.000 volte quello di un motore di un jet. Legambiente riferisce che la comunità scientifica internazionale ha accertato che questo inquinamento acustico dell’ambiente acquatico ha effetti negativi sulla fauna marina, in particolare sui cetacei. Gli impatti possono essere di tipo fisiologico, comportamentale, percettivo, cronico e indiretto. Ci sono casi in cui dei rumori molto forti, come le esplosioni a breve distanza, hanno prodotto danni fisici permanenti anche ad organi diversi da quelli specificamente uditivi, portando in alcuni casi al decesso dell’esemplare colpito. Altri studi hanno permesso di stabilire un collegamento diretto tra le ricerche petrolifere condotte attraverso l’airgun e i tanti casi di spiaggiamento di cetacei.
Legambiente comunica pure che nel 2008 un centinaio di esemplari di peponocefali – Peponocephala electra, delfini più grandi molto simili ai globicefali – si sono arenati lungo le coste settentrionali del Madagascar, nella laguna di Loza. Nel dicembre del 2009, lungo la costa garganica in prossimità della Laguna di Varano, in Puglia, nove capodogli si sono avvicinati alla costa in maniera anomala. Sette di questi si sono spiaggiati mentre solo due sono riusciti a riprendere il largo. Nei primi mesi del 2012 sono stati oltre 3.000 i delfini trovati morti sulle spiagge della regione peruviana di Lambayaque. Gli effetti negativi sono visibili anche sulle attività di pesca. Uno studio del Norvegian Institute of Marine Research riporta come si sia registrata una diminuzione del pescato anche del 50% intorno ad una sorgente sonora che utilizza airgun, con evidenti impatti economici nelle realtà territoriali direttamente interessate e limitrofe.
Nel solo mese di giugno – prosegue Legambiente – sono stati rilasciati 11 decreti per il nulla osta ambientale che riguardano tredici aree marine tra Adriatico, Ionio e Canale di Sicilia che potranno essere sottoposte ad attività di prospezione e ricerca attraverso airgun. Ad oggi sono 52 le istanze di permesso di ricerca e le istanze di prospezione presentate dalle diverse compagnie petrolifere nei mari italiani, per un totale di oltre 122mila chilometri quadrati, corrispondenti all’estensione di tutta l’Inghilterra.
Al momento non esistono misure specifiche sulla problematica dell’airgun a livello europeo e nazionale, ma sono sempre di più gli studi, i rapporti e i regolamenti internazionali che ne descrivono gli impatti e ne chiedono una maggiore regolamentazione e soprattutto una riduzione nella sua applicazione.
La stessa Commissione europea si è comunque dotata di una “strategia globale per il rumore sottomarino” e l’airgun rientra nel campo di applicazione di numerose norme quali la direttiva «Habitat», quella sulla Valutazione d’impatto ambientale, e la Strategia per l’ambiente marino.
Il tema dell’airgun è stato al centro del dibattito parlamentare durante l’iter di approvazione della legge n.68 del 22 maggio 2015 che inserisce i reati ambientali nel codice penale e i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari si sono schierati contro l’airgun.
Legambiente lancia pertanto la campagna #StopOilAirgun e in una petizione al Governo, appoggiata anche da Change Org, chiede di vietare l’utilizzo di questo metodo per la ricerca di idrocarburi in mare, “che non porta vantaggi alla collettività in termini economici, di conoscenza scientifica e ambientali, ed è a favore esclusivamente delle compagnie che detengono i titoli e le concessioni minerarie … Per questo – conclude l’associazione – chiediamo con forza al governo e alla maggioranza che lo sostiene di dare attuazione agli impegni presi in sede di dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera, a cui fino ad oggi non è stato dato seguito. Siamo convinti che si deve costringere il governo a vietare una volta per tutte questa tecnica”.