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La rinnovabili non servono a ridurre le bollette?

L'articolo di Fagioli spiega le attività contraddittorie del Mise

di Fabrizio Pinzuti

AMIATA. Se corrisponde a verità quello che Alessandro Codegoni scrive il 6 febbraio 2014 in QualEnergia.it – rivista  vicina a Legambiente che guarda sempre di buon occhio le cosiddette “rinnovabili” – è difficile non convenire con quanto sull’articolo afferma Vittorio Fagioli, ambientalista attento ai problemi indotti dalla produzione di energia nell’Umbria e nell’Alto Lazio: “vi si narra di una ennesima porcata … circa l’acquisto obbligato di energia dalla Serbia ad un prezzo di 155.00 €/MWh (molto più dei costi nazionali), ma della stessa serie del rilancio della geotermia a 200,00 €/MWh per gli impianti pilota geotermici; vi si ammette l’assoluta non necessità di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili avendo già raggiunto l’obiettivo al 2020 (quando fa comodo lo ammettono anche a Legambiente)”. Già non bastavano, si chiedono altri, i “certificati verdi” agli inquinatori e i CIP6, che hanno finito per finanziare le “rinnovabili” con cospicui aumenti in bolletta, e secondo la federazione dei Verdi sono stati utilizzati anche per finanziare impianti alimentati da fonti di origine fossile? Quando si farà qualcosa per incentivare il risparmio energetico? Qui di seguito il testo integrale dell’articolo.               

“Questo governo, e in particolare il Ministero dello Sviluppo Economico e Attività produttive (MiSE), da mesi ormai giura e rigiura che una delle sue maggiori priorità è quella di ridurre i costi dell’elettricità in bolletta, così da favorire il sistema economico. Peccato che nella pratica poi le “riduzione dei costi in bolletta” consistano essenzialmente nel continuare a prendere o minacciare provvedimenti contro le energie rinnovabili, dalla riduzione dei prezzi minimi garantiti fino ai rumour sulla riduzione dello scambio sul posto, che a fronte di limitati effetti sul costo complessivo dell’elettricità, rischierebbero di avere effetti devastanti sulle nuove installazioni, prive del paracadute ”incentivi”. In compenso, come accaduto a fine 2013, lo stesso MiSE vara un inaspettato provvedimento di aiuto ai grandi consumatori elettrici (una minima parte del tessuto produttivo italiano), che, grazie a uno sconto dello 1,6% sul costo della loro elettricità, ha contribuito a far salire il costo della bolletta per tutti gli altri dello 0,7%, mentre. Senza quel provvedimento, il prezzo del kWh sarebbe sceso dello 0,9%, anche grazie all’effetto peak shaving delle suddette rinnovabili. Vista l’attività contraddittoria del MiSE su questo fronte, preoccupa l’esistenza di un accordo internazionale fra Italia e Serbia stipulato dal titolare di quel ministero nel 2011, cioè Paolo Romani (dopo un precedente accordo di cooperazione italo-serbo sull’energia firmato nel 2009 da Scajola), per l’importazione di energia rinnovabile da quel paese. Il progetto consiste nell’investire 800 milioni di euro nella costruzione di tre centrali idroelettriche lungo la Drina e 300 milioni per una decina di piccole centrali sull’Ibar. Il costo di questi investimenti sarà coperto al 51% dalla società italiana Seci Energia, del gruppo Maccaferri, e per il 49% dalla società statale Eps (Elektroprivreda Srbije). Inoltre, a seguito di un altro accordo stipulato nel 2008 dal governo Prodi, sarà posato un cavo sottomarino di 390 km di lunghezza, in corrente continua, con portata fino a 1 GW, per collegare il Montenegro e l’Italia, al costo di un altro miliardo di euro a carico di Terna e quindi delle bollette elettriche italiane (secondo nostre fonti l’uso della nuovo elettrodotto sarebbe riservato per 15 anni al gruppo Maccaferri e ai partner; una ipotesi che andrebbe però a violare le direttive euopee in materia, ndr). I lavori di questa interconnessione, che va al di là del progetto serbo, essendo compresa nel piano di infrastrutture elettriche prioritarie Trans-European Network per la sua funzione strategica di collegamento con i Balcani, sono da poco cominciati sulla terraferma italiana, vicino a Villanova, in Abruzzo. I serbi stimano il costo totale del progetto in oltre 2 miliardi di euro, che sarebbero però recuperati da loro e dai loro soci privati italiani, grazie alla disponibilità dell’ex governo Berlusconi di pagare l’elettricità importata, e qui sta la questione, la bellezza di 155 euro/MWh (per confronto il costo medio dell’elettricità italiana in Borsa Elettrica è stato di 63 euro/MWh nel 2013), grazie al pagamento di una tariffa omnicomprensiva che la produzione da nuovi impianti idroelettrici riceverebbe in Italia. Visto che l’import dalla Serbia legato a questo progetto potrebbe arrivare a un massimo di 6 TWh l’anno (quasi il 2% dei consumi italiani), l’Italia, oltre al costo del collegamento sottomarino, potrebbe sborsare ogni anno, e per 15 anni, circa 930 milioni di euro per importare l’elettricità balcanica, di cui la metà o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di mercato, contribuendo notevolmente a un ulteriore rialzo del costo della nostra elettricità, senza neanche i vantaggi degli incentivi spesi nei confini nazionali. L’accordo suscita molte perplessità. Innanzitutto Terna giustifica il collegamento sottomarino con il vantaggio di un prezzo competitivo che l’acquisto di elettricità nei Balcani consentirebbe, ma non certo con l’acquistarne di molto più cara che in patria. Ma soprattutto perché, in un momento in cui molte nostre moderne centrali a ciclo combinato, che possono produrre certamente a meno di 155 euro/MWh, restano ferme per eccesso di capacità rispetto alla domanda, dovrebbe essere opportuno aggiungere altre importazioni? “Su questi progetti – spiegò nel 2011 Romani – convergono due interessi reciproci: quello italiano di investire sullo sviluppo di progetti congiunti per contribuire al raggiungimento al 2020 dell’obiettivo del 17% di energia da rinnovabili fissato in ambito europeo, e quello dei Paesi dell’area balcanica di sviluppare le loro fonti interne, rafforzando al contempo la cooperazione industriale e la loro integrazione nel sistema europeo”. Può darsi che le motivazioni per i serbi siano ancora valide (anche se, vendendo a noi le loro risorse idroelettriche, non potranno usarle per conseguire il loro obbiettivo di produrre entro il 2020 il 27% di elettricità rinnovabile), ma certo non lo sono più per noi, visto che, grazie all’esplosione di produzione solare, eolica e biomasse autoctone, l’obbiettivo 2020 lo abbiamo già praticamente raggiunto. Sarebbe quindi importante, a questo punto, sapere se il progetto Italia-Serbia sia ancora in piedi, se qualcuno abbia pensato, almeno, a ridimensionarlo, quali motivazioni lo sorreggano ancora e quali tempi e spese siano previsti (sicuramente i preventivi 2011, saranno già saltati). Ma purtroppo, come accade spesso in questo paese, è quasi impossibile saperlo. I soldi che si investirebbero sono essenzialmente pubblici (arrivando da fondi statali e, nel tempo, dalle bollette elettriche), ma evidentemente si giudica il pubblico indegno di conoscere la destinazione del suo denaro. Insomma, si chiede più trasparenza. La Seci Energia ci ha risposto di non voler rilasciare dichiarazioni, in quanto le trattative con la Serbia stanno arrivando alla fase conclusiva e non vogliono “turbarle”. La cosa francamente turba noi: perché far sapere agli italiani come stanno andando le cose dovrebbe intralciare le trattative? Sono così discutibili i termini di questi accordi? Del resto l’unica informazione che si ritrova sul loro sito riguardo a questo costoso progetto è che “nell’ambito degli accordi italo-serbi controlla, in partnership con la società di stato serba Elektropriveda, la società Ibarske Hidroelektrane costituita per la realizzazione di dieci impianti per una produzione elettrica prevista di circa 418 GWh annui sul fiume Ibar. Si prevede che i primi due impianti entrino in esercizio nel 2014”.Il MiSE ha usato invece la tattica del “muro di gomma”: dopo varie richieste all’ufficio stampa di avere informazioni, ci hanno detto di attendere risposta “dagli uffici competenti”. Ma questi uffici devono essere chiusi, perché dopo una settimana di attesa non abbiamo ancora avuto il piacere di conferire con qualcuno in quel ministero. Quindi non ci resta che sperare nel potere della stampa, e che, dopo la pubblicazione di questo articolo, qualcuno si faccia vivo e ci spieghi perché l’Italia (se tale accordo è ancora valido) in un momento di crisi economica, riduzione dei consumi e sovracapacità produttiva, dovrebbe strapagare con circa 12 miliardi di euro, per 15 anni, l’importazione di energia idroelettrica dalla Serbia,  quando, se volessimo, potremmo incrementare ancora la nostra quota di energia verde, probabilmente spendendo meno, producendola direttamente in casa, con i relativi vantaggi economici, occupazionali e fiscali”.

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