De Natale (Ingv) sintetizza così l'incontro di Firenze
di Fabrizio Pinzuti
AMIATA. “La buona geotermia”? Per il momento non si vede, si può solo intuire. Giuseppe De Natale, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, così sintetizza l’incontro tenutosi lo scorso 15 luglio a Firenze sul tema “La carta di Abbadia San Salvatore, regole per la buona geotermia”, almeno a quanto si può apprendere dall’unico resoconto finora rintracciabile nel Web, redatto da Sauro Secci.
Dal “Bericht”, al di là degli auspici e dei compiacimenti, sembra che nell’individuare “il buono e il nuovo” della geotermia non si vada più in là del sistema binario, della media e bassa entalpia. Un esempio per tutti la relazione dei professori Enrico Pandeli e Giuliano Gabbani, del GIGA (Gruppo Informale Geotermia Ambiente), organizzatore dell’incontro: “… gli impianti a ciclo binario (sono) caratterizzati da totale e controllata reiniezione nel sottosuolo dei fluidi geotermici di media entalpia… (con) la loro ampia modularità per la produzione di energia elettrica e l’eventuale uso “in cascata” dei reflui per altre applicazioni a bassa entalpia. Proprio nel campo della bassa entalpia sono ormai noti e diffusi anche nel nostro paese gli usi termici e di climatizzazione degli edifici tramite pompe di calore geotermiche, un approccio che permette di superare gli angusti ambiti geografici della alta entalpia fino ad oggi praticata in Italia. Tutto questo, proietta la geotermia in una logica di applicabilità decisamente più vicina ad una forma di energia rinnovabile altamente distribuita come il fotovoltaico, che ha permesso la spallata decisiva verso la rivoluzione in atto. Un’accettabilità distribuita e capace finalmente di far vedere finalmente al cittadino la geotermia con occhi diversi riconoscendola anche come risorsa “sostenibile”. Spazio anche alle nuove frontiere, come la possibilità di fare geotermia con lo scambiatore in pozzo, una modalità capace in sostanza di “tagliare la testa al toro”, andando ad utilizzare il calore terrestre direttamente nel punto di disponibilità del sottosuolo senza l’estrazione ed il trasporto di fluidi geotermici verso la superficie. Si tratta di una soluzione con tecnologia “made in Italy”, che potrà davvero divenire gradualmente protagonista, dando innumerevoli risposte agli impatti”.
Sulla validità delle nuove tecnologie ha pure insistito Maria Teresa Fagioli, presidente dell’ordine dei geologi della Toscana, non senza qualche frecciata all’Enel: “La geotermia può assumere una valenza totalmente opposta agli effetti nocivi di cui è stata spesso accusata, sulla base di esperienze pregresse derivanti dall’insistenza di operatori monopolisti su tecnologie obsolete”. Non è presentata come tale ma sembra una replica alle conclusioni dell’incontro, oltre che una risposta ai 18 permessi di ricerca concessi in provincia di Grosseto per centrali a ciclo binario, la posizione espressa il 21 luglio scorso da Massimo Momtemaggi, presidente di Enel Green Power, la società della vecchia geotermia, ad alta entalpia, delle centrali “flash”, quella dei “camini” che sputano vapore, per intendersi. «In cento anni di perforazioni in Toscana non abbiamo mai trovato la risorsa geotermica adatta alla media entalpia, cioè un fluido a 120-160 gradi. E in cento anni abbiamo fatto oltre 700 pozzi». Montemaggi fornisce alcune precisazioni anche sulle nuove ricerche in atto: «Gli incentivi statali per la produzione di energia geotermica ad alta entalpia sono di 85 euro per Megawattora. Quelli per la media entalpia sono di 220 euro per Megawattora. Non dico altro».
E quello che non dice lui è facilmente ricavabile: la calamita delle nuove ricerche sono solo i forti incentivi.