Scienza della terra di Firenze dimostra i rischi con una ricerca presentata a Roma
di Fabrizio Pinzuti
ABBADIA SAN SALVATORE. L’inquinamento da mercurio, originato in più di un secolo di estrazione e lavorazione del minerale nel territorio dell’Amiata e che interessa ancora oggi la strada dalle sorgenti del Paglia, alle pendici del monte, lungo tutta l’asta Paglia-Tevere, fino al Mar Tirreno, come dimostrato dalla recente ricerca del dipartimento di Scienza della Terra dell’Università di Firenze “La strada del mercurio, dall’Amiata al Mar Tirreno attraverso il bacino del Paglia-Tevere – Rischi di contaminazione e strategie di intervento”, non è una novità assoluta.
L’indagine, illustrata in un incontro pubblico il 14 giugno a Roma, presso l’Istituto Santa Maria in Aquino, dagli Amici della Terra, ha confermato sul piano scientifico i fondati dubbi anche di tanti semplici cittadini dell’Amiata, in modo particolare di Abbadia San Salvatore, dubbi finora quasi sempre sottovalutati. I più anziani ricordano i sospetti destati da polveri e fumi, con scie aeree di sapore acido, che uscivano dagli impianti, le acque reflue sporche e maleodoranti che lambivano fino a qualche decennio fa il paese per finire nel bacino di raccolta ora denominato ”diga del muraglione”, a pochi passi dal centro del paese, i depositi del metallo sulle condotte che portavano i fumi verso le ciminiere. Ai più attenti sono sembrate eccessive anche le misure di precauzione adottate in prossimità di lavorazioni e macchinari, quasi a voler celare qualcosa, o la circospezione adottata da tecnici o da chi aveva conoscenze più approfondite, rispetto alle maestranze, delle operazioni effettuate. Qualcosa di più delle norme di prudenza o del semplice “vietato l’accesso ai non addetti ai lavori”.
Ancora oggi miniere e stabilimenti abbandonati a se stessi, gli “scarichi” – i grandi depositi o accumuli di scorie e materiali di resulta dopo la “cottura” del cinabro, i famosi “rosticci” sicuramente nocivi, come accertato da un’indagine disposta dalla Magistratura, talvolta usati come materiale per riempimenti o per imbrecciare le strade – situati immediatamente a monte del paese e nelle sue periferie, suggeriscono che il degrado ambientale non si è fermato con la dismissione dell’attività estrattiva. E’ stata notata anche l’alta incidenza tra i residenti nei pressi del perimetro minerario e dello stabilimento metallurgico di forme tumorali e di malattie e decessi per altri accidenti dell’apparato circolatorio e respiratorio, anche tra i non addetti direttamente alle lavorazioni, provenienti da famiglie con stili di vita non sospetti, anzi dedite a pratiche salutistiche quali la ricerca dei funghi, la coltivazione dell’orto, l’allevamento di animali da cortile, con il consumo di frutta, verdura e carne prodotte direttamente.
Peraltro lo studio redatto dall’Università Fiorentina era stato anticipato nelle sue linee fondamentali da una delle ricercatrici proprio al convegno sulla cosiddetta buona geotermia organizzato dal Comune di Abbadia San Salvatore il 29 e 30 gennaio scorsi, senza, guarda caso, trovare menzione in nessuno degli atti ufficiali del convegno o dei resoconti di agenzia o dei quotidiani, con l’eccezione del nostro giornale. Lo rammentiamo non per dirci che siamo stati i più attenti ma per chiederci se non si sia trattato di un colpevole silenzio. Si voleva impedire che quell’intervento – forse non previsto e rimasto l’unica voce fuori dal coro, a parte le scontate repliche degli ambientalisti – potesse insinuare il dubbio, nel clima di generale condivisione degli altri relatori sulla “buona geotermia”, che questa terra “avesse già dato” sotto il profilo ambientale e che non avrebbe sopportato ulteriori carichi? Sul traliccio di questa domanda altre se ne potevano, e se ne possono, sostenere. E’ il caso di procedere all’insediamento di nuovi impianti geotermici che, per quanto moderni, hanno sempre un impatto ambientale, in un territorio che, al di là delle tante amenità di maniera, appare oggi in emergenza ecologica e che andrebbe semmai bonificato e non sovraccaricato da altri processi o lavorazioni industriali? Ora, con la pubblicazione di quella ricerca, oltre che con l’evidenza dei fatti denunciati dalle pur flebili voci dei cittadini, non si può più dire che il mondo scientifico non si sia espresso. E ancora non c’è contraddizione tra il salutare con gioia lo sblocco dei finanziamenti, congelati dal “patto di stabilità”, per la bonifica dell’area mineraria e andare a proporre contemporaneamente la realizzazione di impianti che ne rappresentano, concettualmente e tecnologicamente, ambientalmente e scientificamente, l’antinomia? E’ sempre e solo una questione di soldi?