Pubblicato lo studio del gruppo di ricerca, coordinato a livello italiano dall’Università di Siena
SIENA. Come cambieranno le calotte glaciali dell’Antartide, se continuerà ad aumentare l’inquinamento da CO2 in atmosfera, e le temperature sul nostro Pianeta continueranno ad aumentare? Di quanto si alzerà il livello degli oceani? Gli scienziati ci danno oggi un’indicazione molto significativa, perché questo scenario si è già realizzato nel passato, ed i suoi effetti sono stati studiati nel dettaglio.
Il gruppo internazionale di ricercatori del progetto ANDRILL, coordinato a livello italiano dall’Università di Siena e dall’INGV, ha dimostrato che, in un intervallo di tempo compreso tra 23 a 14 milioni di anni fa, le calotte antartiche si sono ritirate in modo significativo, ben all’interno nel continente antartico, in condizioni atmosferiche di CO2 simili a quelle previste per i prossimi secoli.
Lo studio, appena pubblicato sulla rivista PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences USA, mostra che il clima della regione polare e i margini delle calotte sono stati fortemente dinamici, con molti cicli di cambiamento climatico, con importanti espansioni e contrazioni dei ghiacci. In particolare, le regioni situate alle alte latitudini nell’emisfero meridionale sono state sensibili a variazioni relativamente piccole della CO2 atmosferica, tra 280 e 500 ppm.
Le informazioni sono state ottenute dallo studio geologico delle carote di rocce e sedimenti del pozzo di perforazione ANDRILL-SMS e da uno studio complementare di modellazione numerica del comportamento delle calotte di ghiaccio antartiche.
Il progetto ANDRILL-SMS (www.andrill.org) è stato co-diretto da David Harwood (Lincoln University, USA), Fabio Florindo (direttore della Struttura Ambiente dell’INGV) e Richard Levy (GNS, NZ), affiancati da Franco Talarico (Università di Siena), presidente del comitato scientifico direttivo McMurdo-ANDRIL e responsabile del settore di indagini di petrologia, Gary Acton (USA) per la geocronologia e paleomagnetismo, Kurt Panter (USA) per la vulcanologia, Timothy Paulsen (USA) per la geologia strutturale, e Marco Taviani (CNR), per il settore delle indagini di paleontologia.
Il gruppo di ricerca italiano comprende 18 ricercatori di diverse università e enti di ricerca italiani (INGV, CNR). L’Università di Siena, oltre che nel coordinamento nazionale gestito presso il dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente, ha partecipato con ricerche in diversi campi di studio, dalla petrografia e sedimentologia (G. Cornamusini, S. Sandroni, F. Talarico), alla mineralogia della frazione argillosa (G. Giorgetti, F. Iacoviello) alle proprietà magnetiche nelle rocce (E. Strada). Integrando i risultati dei diversi tipi di analisi il gruppo dell’Università di Siena ha contribuito alle interpretazioni sui processi di erosione e deposizione legati all’avanzata e ritiro dei ghiacci fornendo vincoli rilevanti, attraverso l’identificazione delle variazioni di provenienza dei flussi glaciali, per la ricostruzione degli scenari ambientali e della dinamica dei ghiacci pubblicati nel lavoro, e alla validazione dei modelli numerici sulle variazioni di volume delle calotte.
Tutti i resti dei campioni di roccia analizzati sono conservati, per permettere eventuali future ulteriori ricerche, presso la sezione di Siena del Museo Nazionale dell’Antartide. I risultati di questo lavoro confermano quelli di uno studio già pubblicato su Nature, che ha analizzato un altro intervallo “caldo” del passato, tra 5 e 3 milioni di anni fa, quando la temperatura media alla superficie terrestre è stata di 3 gradi maggiore di quella media attuale, e l’atmosfera con valori di CO2 simili a quelli attuali: in quell’epoca la forte contrazione delle calotte antartiche provocò un innalzamento del mare di circa 10 metri.