Le conseguenze del disastro arrivano fino in Cina. Per ora
di LEXDC
SIENA. Non è esercizio accademico continuare a occuparsi della tragedia di Fukushima, dove tutti i danni sopportati da terremoto e tsunami sono ormai calcolati, affrontati e superati in prospettiva. Il disastro nucleare invece no, e anche se non è più argomento “epidermico” per il referendum, conoscere il pericolo che avanza è utile anche per il nostro futuro da quest’altra parte di emisfero boreale.
Le piogge monsoniche che vi avevamo raccontato stanno disperdendo acqua radioattiva nel mare in maniera copiosa e incontrollabile, lasciando le barre radioattive dei reattori scoperte. La misurazione parla di un record di 10.000 millisievert/ora, il livello più alto dall’inizio della crisi: la brochure diffusa dal ministero della salute giapponese dopo il disastro nucleare afferma che “Se un essere umano ricevesse 10.000 millisievert, probabilmente morirebbe entro una o due settimane” e con ciò ho detto tutto, alla maniera di Totò.
In questi mesi la società elettrica Tepco e il governo giapponese avevano affermato che la situazione era sotto controllo, e ciò non si è dimostrato vero, ancora una volta. La Nisa, ente nucleare statale, si è distinta per l’opera di disinformazione e di riabilitazione del nucleare che ha svolto in questi mesi, ed è stata scoperta e smascherata dai media nipponici almeno tre volte nelle ultime settimane. Il resto lo hanno fatto le piogge abbondanti che hanno provocato nella regione anche danni per smottamenti e alluvioni. La continua dispersione di acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico è anche causa del primo grave incidente diplomatico causato dal nucleare con la vicina Cina. Posto dall’altro lato del Mar del Giappone, il gigante asiatico ha allertato le sue agenzie di controllo. E proprio l’Ufficio nazionale degli affari oceanici della Cina ha lanciato una accusa pesantissima: “Le acque della regione del Pacifico occidentale ad est e a sud-est di Fukushima, in Giappone, sono chiaramente colpite da materiali radioattivi che sono sfuggiti dalla centrale nucleare danneggiata”. Un team di esperti è stato inviato a“sorvegliare l’impatto della crisi della centrale nucleare di Fukushima Daiichi sul Pacifico occidentale e le acque territoriali della Cina”.
I dati elaborati dopo il 4 luglio hanno permesso ai cinesi di raccogliere campioni su 25,2 km2 di mare e di arrivare alla conclusione che “cesio 137 e 134 radioattivi, così come lo stronzio 90, sono stati ritrovati in tutti i campioni d’acqua. In tempi normali, il cesio 134 non può essere ritrovato nell’acqua di mare e le quantità massime di cesio 137 e di stronzio 90 trovate nei campioni sono rispettivamente 300 volte e 10 volte più elevate del livello di radiazione naturali di fondo nelle acque territoriali della Cina”.
Per ora il governo giapponese tace, e la tensione non può che aumentare, ci sarà presto una crisi nell’area che interessa direttamente anche le due Coree, la Russia a nord, le Filippine a sud. E le Isole Hawaii non sono poi così lontane per le correnti marine. E stabilito che col passare del tempo i problemi generati dalla radioattività stanno aumentando e non diminuendo, ci sembra assurdo che proprio Ispra, l’agenzia nazionale per la radioprotezione, abbassi la guardia.
L’aggiornamento della rete di monitoraggio italiana viene trascurato dal 22 luglio e i dati sono spariti dalle pagine precedentemente così ben curate dall’agenzia. Così come le informazioni relative allo stato dell’arte negli altri paesi europei e americani che sono direttamente interessati nell’emisfero boreale. Gli ultimi controlli risalgono ormai al 5 luglio. Vista la velocità con cui arrivano sempre nuove informazioni di peggioramento della situazione non più nell’area locale della prefettura in cui ha sede la centrale nucleare di Fukushima, ma dell’intero Far Est, è come se fosse passato un secolo di disinformazione.