l tecnologicamente possibile, anche se economicamente conveniente, deve oggi essere anche e soprattutto ecologicamente compatibile
di Fabrizio Pinzuti
AMIATA – Estrarre energia geotermica direttamente dai vulcani e non solo dai fenomeni e dalle manifestazioni di vulcanesimo secondario come fatto finora: fantascienza? Tecnologicamente possibile secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, che ha stanziato per il progetto 21,5 milioni di dollari, coadiuvato da aziende private, tra le quali Google, che ha contribuito per 6,3 milioni.
Il progetto redatto da AltaRock Energy, una startup con sede a Seattle, prevede la perforazione delle pendici del vulcano spento Newberry, in Oregon, e il pompaggio di 24 milioni di galloni di acqua fredda pressurizzata (circa 90 milioni di litri) nella fitta rete di crepe del cratere, nella roccia calda in profondità in un processo definito di “stimolazione”. La contrazione termica della roccia apre reti di fratture pre-esistenti, permettendo all’acqua fredda di fluire attraverso il giacimento sotterraneo. L’acqua, secondo le stime, dovrebbe tornare in superficie, sotto forma di vapore, ad una temperatura e velocità sufficientemente alta per produrre energia. In questo modo, si recupera il calore e il vapore ad alta pressione generato, in maniera – si dice – totalmente pulita.
L’idea non è nuova (ci sono centrali simili anche in Europa); il potere energetico del sottosuolo viene sfruttato da anni ma l’innovazione sta nella tecnologia dei pozzi utilizzati, secondo il processo di sfruttamento dei sistemi definito EGS (Enhanced Geothermal Systems) con cui si estrae calore dalla terra anche in assenza di giacimenti di “fluidi geotermici naturali”, andando a crearli in via artificiale. L’acqua così riscaldata e il conseguente vapore formatosi, restituiscono l’energia termica dalle rocce in profondità alla superficie attraverso pozzi geotermici. Qui, il fluido caldo viene convogliato attraverso la centrale elettrica dove aziona una turbina e genera energia elettrica prima di essere reiniettato nel sottosuolo. Secondo la società che ha elaborato il progetto, il sistema EGS offre una fonte rinnovabile di energia indipendente dai mercati esteri ed economicamente sostenibile, con un potenziale in grado di fornire fino al 10% del fabbisogno energetico degli Stati Uniti. Questa tecnologia può essere utilizzata anche per migliorare le riserve geotermiche esistenti, aumentando in modo significativo la vita delle centrali esistenti.
Ovviamente il tecnologicamente possibile, anche se economicamente conveniente, deve oggi essere anche e soprattutto ecologicamente compatibile. I dubbi espressi dalla comunità scientifica e tecnologica non sono pochi: altri simili esperimenti precedenti hanno sottolineato il problema dei terremoti, generati dall’instabilità conseguente all’introduzione di acqua ad alta pressione e al movimento di magma nel sottosuolo. Il sito del progetto è lontano dalla presenza umana ed è costantemente monitorato, ma dopo il rapporto della commissione “Ichese” che ha mostrato la possibile connessione tra attività estrattiva e terremoto in Emilia, la cautela raccomandata anche dalle nazioni Unite (”nel dubbio astenersi”) è più che mai d’obbligo.
Il meccanismo provocherà inevitabilmente delle crepe sulla superficie rocciosa e il sismologo Ernie Majer, del Lawrence Berkeley National Laboratory, con il quale Alta Rock sta conducendo le ricerche, ha fatto sapere che verrà elaborato un nuovo protocollo internazionale volto ad incoraggiare gli studiosi a sviluppare i propri progetti al di fuori delle aree urbane.
Il metodo poi, a prima vista, sembrerebbe una variante del fracking, tecnologia ambientalmente non sostenibile. Ma alla AltaRock rassicurano che la fratturazione idraulica, o fracking appunto, è un metodo per l’estrazione di petrolio o di gas naturale, in cui l’acqua e prodotti chimici vengono iniettati a pressioni fino a 10.000 psi (1 Pound per Square Inch = 0.0689475729 bar) in un pozzo petrolifero o del gas. La pressione dell’acqua provoca la fratturazione delle rocce e quindi i “propping agent” (agente di mantenimento delle fratture), trasportati da gel, vengono iniettati per mantenere la frattura aperta, in modo che il petrolio e gas possono essere pompati in superficie. Ma alcuni degli additivi chimici utilizzati nella fratturazione e gli stessi idrocarburi recuperati, possono essere tossici. Invece il processo hydroshearing, utilizzato in stimoli geotermici, utilizza la pressione inferiore alla fratturazione idraulica e avviene sotto il punto di frattura della roccia, e non vengono utilizzate sostanze chimiche o “propping agent”. AltaRock afferma di utilizzare sistemi di monitoraggio in grado di controllare la sismicità indotta durante le attività di stimolo e di aver messo a punto un protocollo di mitigazione sismica, tutto nel pieno rispetto della normativa federale, della regolamentazione statale e locale.
Ricercatori e studiosi ovviamente non possono guardare l’innovazione con l’attenzione degli economisti, tanto più in un paese come gli USA che hanno più volte dato prova di pensare ai profitti prima che alla sicurezza degli impianti e, lo ripetiamo, in materia di messa in sicurezza il “caso emiliano” è ancora troppo fresco per essere dimenticato. Con ben altra attenzione, pur in condizioni ambientali completamente diverse, la comunità scientifica guarda all’esperienza dell’Islanda, oggetto di un nostro prossimo articolo. (Fonti: Geotermia News; http://www.ambiente.aghape.it/it/news-ambiente-aghape/227-geotermia-vulcanica-nuova-frontiera-dellenergia-dal-sottosuolo).