di Fabrizio Pinzuti
AMIATA. In aumento il numero di chi non si rassegna al mancato raggiungimento del quorum nel referendum “sulle trivelle”. Già nei giorni precedenti alla consultazione da più parti era stato richiesto l’intervento della Magistratura, visti i reiterati inviti all’astensionismo arrivati dalle massime istituzioni dello stato. Lo scorso 15 aprile ‘Il Fatto Quotidiano” ha osservato e fatto osservare che nel 1985 la Corte di Cassazione dichiarò che “l’invito all’astensione è reato punito con pene fino a tre anni”. Sono state lanciate diverse petizioni in tal senso, con l’aggiunta dell’osservazione che disinvestire (gradualmente) dai combustibili fossili e spostare le risorse sulle rinnovabili è non solamente un obiettivo ecologista ma soprattutto una necessità economica (http://www.wri.org/blog/2016/04/sustainable-transport-investment-could-save-300-billion-year-within-existing-financial) e che la perdita di posti di lavoro – addotta dagli astensionisti come ragione alla base del non voto – non sussiste, giacché le risorse finanziarie risparmiate potrebbero essere impiegate in maniera più efficiente e sostenibile per la creazione di posti di lavoro “green”.
Si parla perfino di un ricorso, o di una denuncia, alla Commissione Europea, accompagnato dalla segnalazione delle violazioni legate al tema referendario che denotano sistematici aggiustamenti delle norme e dei principi del Diritto comunitario. L’85,8% dei votanti ha sostenuto l’abrogazione della norma che, assegnando ai petrolieri concessioni senza una precisa scadenza, viola la Direttiva 94/22/CE – recepita dall’Italia con D.Lgs 625/96 – secondo la quale “l’estensione delle aree costituenti oggetto di autorizzazioni e la durata di quest’ultime devono essere limitate”. Per questo – fanno sapere Legambiente e Greenpeace – verrà presentata una denuncia alla Commissione europea “per segnalare questa e altre violazioni che denotano sistematici aggiustamenti delle norme e dei principi del Diritto comunitario a favore degli interessi dei petrolieri”. Continuerà quindi la battaglia delle associazioni contro le numerose criticità emerse rispetto alle attività estrattive in mare. “A partire dalla dismissione delle piattaforme che già oggi non sono più attive e per stabilire royalties giuste per tutte le attività estrattive, cancellando un sistema iniquo per cui larga parte delle concessioni non paga le royalties e chi lo fa le deduce dalle tasse. In tutto il mondo si sta andando verso una tassazione legata alle emissioni di gas serra per spingere gli investimenti verso l’efficienza e il nostro Paese avrebbe tutto l’interesse ad andare in questa direzione cancellando privilegi assurdi per i petrolieri”, si legge in una nota di Legambiente. A determinare il mancato raggiungimento del quorum – commentano Greenpeace e WWF – hanno contribuito i tempi contratti della campagna referendaria, il rifiuto del governo di indire un Election Day (che avrebbe accorpato il voto sulle trivelle alle elezioni amministrative, ndr) e una strategia politico-mediatica che a lungo ha tenuto sotto silenzio il tema del referendum sulle trivelle. Senza dimenticare gli inviti all’astensione. In ogni caso, questa è un’altra occasione persa per accelerare ulteriormente il processo di ripensamento della nostra strategia energetica, per ribadire che il petrolio è il passato e che il futuro energetico del nostro Paese è fatto di efficienza energetica, rinnovabili, mobilità elettrica. Ma, come ha ricordato Legambiente, “non sarà il mancato raggiungimento del quorum a fermare un cambiamento del modello energetico che sta già mettendo le fonti fossili ai margini”. Infatti, secondo il’Comitato vota Sì’, nato proprio in vista del referendum, “nonostante la campagna di informazione sul Referendum sia stata ostacolata in tutti i modi e nonostante i continui appelli all’astensione da parte del Premier Matteo Renzi, questa campagna referendaria ha acceso un riflettore sulle lobby del petrolio in Italia e sulle scelte energetiche del Paese, e da qui non si potrà più tornare indietro”. (fonte QualEnergia)