Il direttore Bernacchini fa il punto della situazione in Chianti
di Andrea Pagliantini
GAIOLE IN CHIANTI. Rolando Bernacchini, nato nel 1960 ad Orbetello, da 12 anni ricopre l’incarico di direttore di “Rocca di Castagnoli” prestigiosa azienda vitivinicola del Chianti Classico, situata nel comune di Gaiole in Chianti.
In questi 12 anni l’azienda si è rinnovata, ha reimpiantato decine e decine di ettari, ha aperto un ristorante, un’attività di recezione turistica, ha mietuto successi commerciali e di critica, ricevendo importanti premi con i propri vini.
Sono iniziate in questi giorni le prime operazioni di vendemmia in virtù di una stagione climaticamente favorevole e di un’annata che dal punto di vista qualitativo è ottima.
Lo sanno bene i cinghiali che ad oggi hanno privato “Rocca di Castagnoli” di ben trecento quintali di uva dai vigneti da cui nasce la “Gran Selezione”, il vino di punta dell’azienda. Ne abbiamo parlato con il direttore Bernacchini, che non si è nascosto e ha parlato apertamente dei problemi che gli ungulati creano alla sua azienda.
I vigneti sono protetti con recinzioni o filo elettrico? Si, lo sono. Abbiamo richiesto e ottenuto la concessione edilizia dal comune e da quest’anno i vigneti sono protetti con recinzioni fisse. I fili elettrici ormai non servono più a niente.
Fra pali, rete, scavatore, manodopera ecc. questi lavori sono costati 80.000 euro e pensavamo fosse una soluzione risolutiva al problema dei cinghiali, ma così non è stato. Hanno scavato buche di 70 cm per passare, ma succede anche che la mattina troviamo aperti i varchi o interi pezzi di recinzione tagliata… e non possono essere stati i cinghiali. Per questo abbiamo degli operai che controllano (e riparano) ogni giorno l’efficienza delle protezioni.
In questo momento quali sono i vigneti più danneggiati? Si possono quantificare i danni economici subiti in termini di uva, vino e bottiglie non prodotte e vendute? Ad oggi sono “Stielle”con i suoi 5 ha di sangiovese e il vigneto allevato ad “alberello”, con i suoi 3.5 ettari. Sempre ad ora, abbiamo calcolato che sono andati in pasto ai cinghiali 300 quintali di uva, che per stare sui numeri rappresentano 210 ettolitri di vino, corrispondenti a circa 30.000 bottiglie del nostro vino più pregiato (il Chianti Classico Gran Selezione), il che equivale ad un danno economico per l’azienda di 450.000 € di vino non prodotto, non imbottigliato e non venduto. Un grave danno economico, perché l’azienda potrà avere solo poche bottiglie del suo vino più importante, in un’annata che ogni analista prevede ottima, ma non solo, tenuto conto del sacrificio e del lavoro che serve per fare viticultura e degli stipendi che abbiamo sempre regolarmente pagato ai dipendenti.
Che vendemmia sarà per “Rocca di Castagnoli”? Qualitativamente sarà ottima, ma consideri che ogni mattina attendo un report dettagliato sulle attività notturne dei cinghiali e faccio rimbalzare da una parte all’altra dell’azienda le squadre dei vendemmiatori a raccogliere l’uva che subisce le maggiori aggressioni. Stiamo raccogliendo due ettari di cabernet prima che venga divorato. Purtroppo i tempi di vendemmia non sono decisi dal grado di maturazione dell’uva, ma è la voracità dei cinghiali che detta i tempi di raccolta.
Sul territorio chiantigiano perché, secondo lei, c’è una presenza così massiccia di cinghiali e cervidi? Perché tutto l’anno, anche all’interno delle nostre proprietà, gli ungulati vengono illegalmente alimentati con mais e pane al chiaro scopo di aumentare la popolazione. E tenere le coltivazioni al riparo dall’aggressione di questi animali che hanno spezzato l’equilibrio naturale del territorio è pressoché un’utopia. Con i miei collaboratori ciò che facciamo è necessario per mantenere, conservare e lasciare un patrimonio di bellezza unico al mondo. Però io in questa difficile situazione devo gestire un’azienda che deve produrre vino e reddito e garantire gli stipendi ai dipendenti.
Quali possono essere le soluzioni da adottare (Provincia e Regione) per tentare di risolvere la questione? Si mettono in crisi le imprese che danno lavoro e quindi c’è bisogno di serietà. Si deve avere l’ottica di riportare la caccia alle origini di passione e sport in equilibrio con il territorio… anche le recinzioni per proteggere le coltivazioni sono un male naturale, ma non fanno bene al paesaggio. Occorre porre fine alla pasturazione degli animali, occorre un piano di abbattimenti che riporti le cose in equilibrio, che non si entri dentro terreni fin quando le colture sono in atto per fare attività venatoria. Che sia, quindi, possibile per tutti vivere e sviluppare le proprie passioni e il proprio lavoro.
Non è usuale venga presa posizione aperta e pubblica su un tema così attuale e scottante, non teme qualche dispetto? Il danno è tale che la paura mi è passata.
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