Morte e distruzione in un disastro di portata mondiale
di Lexdc
SIENA. Tutto il Giappone si ferma alle ore 14:46 di domenica 11 marzo, quando in Italia sono le 7:46 del mattino. Ovunque, edifici pubblici e sedi aziendali, bandiere a mezz’asta, silenzio e raccoglimento. Ecco il primo anniversario del terremoto magnitudo 9 dell’anno scorso, seguito alcune decine di minuti più tardi da un gigantesco tsunami, che si abbattè su centinaia di chilometri della costa settentrionale di Honsu affacciata sul Pacifico. Tale da provocare non solo 19 mila tra morti e dispersi ma anche la peggiore crisi nucleare dai tempi di Chernobyl. Abbiamo vissuto fin dal primo momento una saga della disinformazione di stato, perpetrata dal governo nipponico e contrastata da televisioni e organizzazioni non governative di tutto il mondo.
Centinaia e centinaia di chilometri quadrati di una terra rigogliosa sono diventati un deserto popolato di ghost town e di animali vagabondi (quelli ancora vivi!), con gli ex abitanti sfollati un po’ dappertutto, che una volta alla settimana vanno, vestiti di tute di protezione nucleare, a controllare che tutto sia rimasto come nel momento in cui sono stati costretti a fuggire, con il male invisibile dentro. Nel giro di un anno in Italia un referendum ha distrutto l’idea della seconda era nucleare italiana, la Germania ha varato un programma che la allontanerà dal nucleare, il Giappone ha quasi del tutto fermato le sue 54 centrali atomiche e si appresta a farne completamente a meno. Prima di Fukushima, Tokio pensava di incrementare la produzione di elettricità con nuove centrali.
Solo nei paesi di recente industrializzazione come India e Cina si progettano nuove centrali nucleari, un po’ per fretta, un po’ per disperazione da crescita economica troppo veloce: avranno bisogno dei loro incidenti devastanti per maturare una corretta coscienza antinuclearista e devono vedere le conseguenze dell’inquinamento nell’ambiente per reagire?
Fukushima è una città a 60 km dalla centrale devastata, ma non è un luogo sicuro in cui abitare, anche se il governo giapponese racconta che tutto è ormai sotto controllo. Ma la lezione più importante data dalla storia è che perfino l’ultraorganizzato efficiente sistema nipponico era totalmente impreparato a gestire un disastro nucleare. Ed ha mentito sulla realtà del pericolo.
La Tepco, società che gestisce l’impianto e praticamente fallita, ha dimostrato di non avere la minima coscienza degli avvenimenti, compiendo, insieme agli esperti del governo, una tragica serie di errori che hanno moltiplicato gli effetti disastrosi del sisma. I reattori di Fukushima Daichi non sono ancora spenti, forse come dice il governo sono sotto controllo, ma tra le maglie del controllo vomitano ancora sostanze radioattive.
La quantità di radionuclidi nell’atmosfera è compresa tra il 10 e il 40 per cento di quella liberata a Chernobyl. E ci sono ancora 430 centrali nucleari in funzione nel mondo, che interessano la vita, la morte e una tremenda possibilità di sofferenza in centinaia di milioni di persone: un rischio francamente inaccettabile.