
SIENA. “Il mio paese un tempo era il paese delle favole”.Inizia così LONTANO DA MOGADISCIO (Datanews editore), che l’autrice Shirin Ramzanalli Fazel presenterà al pubblico di Lunedilibri – parole dal Mediterraneo il prossimo 30 novembre alle 18 nella Cappella del Manto.
La scrittrice, nata e cresciuta in Somalia, dove ha frequentato le scuole italiane, fu costretta, all’inizio degli anni Settanta, durante la guerra civile, a trasferirsi in Italia. Oggi collabora con diverse associazioni di aiuto e solidarietà alle donne immigrate.Nel libro, quasi un diario, ci parla con nostalgia del suo Paese: le porte delle case mai chiuse, il vicinato come una grande famiglia, i bambini che giocavano tranquillamente per strada e andavano nei negozi “a comprare le caramelle dal sapore di cose lontane”, lo scorrere delle stagioni, l’attesa della pioggia, il cielo immenso dove le grandi nuvole “non finivano mai di raccontare favole”.Poi la partenza, con il marito e la figlia piccolissima, per l’Italia, l’arrivo in autunno a Novara, la solitudine in “una città grigia” dove non era riconosciuta per il nome ma per il colore della pelle.Le parole sobrie, ma sagge della scrittrice ci impongono una riflessione sull’immagine che il “sud del mondo” ha dei paesi occidentali dove intolleranza, razzismo, incomprensione comportano per gli immigrati difficoltà di integrazione con culture diverse, sofferenza a mantenere le proprie tradizioni, solitudine ed emarginazione.Ma Shirin Ramzanalli Fazel, fiera delle sue origini, consapevole di avere “una sensibilità ed un cuore che nessuna altra cultura potrà distruggere”, crede nell’apertura al dialogo interculturale. Il meccanismo che porta le società a essere sempre più multietniche è inarrestabile e non serve a niente chiudersi a riccio.
La scrittrice, nata e cresciuta in Somalia, dove ha frequentato le scuole italiane, fu costretta, all’inizio degli anni Settanta, durante la guerra civile, a trasferirsi in Italia. Oggi collabora con diverse associazioni di aiuto e solidarietà alle donne immigrate.Nel libro, quasi un diario, ci parla con nostalgia del suo Paese: le porte delle case mai chiuse, il vicinato come una grande famiglia, i bambini che giocavano tranquillamente per strada e andavano nei negozi “a comprare le caramelle dal sapore di cose lontane”, lo scorrere delle stagioni, l’attesa della pioggia, il cielo immenso dove le grandi nuvole “non finivano mai di raccontare favole”.Poi la partenza, con il marito e la figlia piccolissima, per l’Italia, l’arrivo in autunno a Novara, la solitudine in “una città grigia” dove non era riconosciuta per il nome ma per il colore della pelle.Le parole sobrie, ma sagge della scrittrice ci impongono una riflessione sull’immagine che il “sud del mondo” ha dei paesi occidentali dove intolleranza, razzismo, incomprensione comportano per gli immigrati difficoltà di integrazione con culture diverse, sofferenza a mantenere le proprie tradizioni, solitudine ed emarginazione.Ma Shirin Ramzanalli Fazel, fiera delle sue origini, consapevole di avere “una sensibilità ed un cuore che nessuna altra cultura potrà distruggere”, crede nell’apertura al dialogo interculturale. Il meccanismo che porta le società a essere sempre più multietniche è inarrestabile e non serve a niente chiudersi a riccio.
“Ho sempre pensato” – scrive – “che la civiltà di un paese non sta nella ricchezza economica o nelle persone elegantemente vestite in abiti griffati, bensì nel modo in cui questo paese tratta i propri ospiti.”