Mps e Fondazione sono su posizioni opposte
I banchieri, tuttavia, non sono proprietari delle banche, ma sono, consulenti, esperti che vestono l’abito del manager nella convinzione che sappiano gestire l’azienda per il bene di tutti gli stakeholder e in questa categoria, ricordiamoci, rientra anche la società civile (oltre agli azionisti, i dipendenti, i fornitori, i clienti e tutti coloro che in maniera diretta e indiretta possono avere un interesse affinché l’azienda sia gestita in maniera adeguata).
Proprietarie delle banche sono le Fondazioni bancarie e gli altri azionisti. Le Fondazioni non possono esercitare l’attività bancaria, ma hanno il compito di gestire le partecipazioni della banca in modo da trarre ritorni di beneficio sociale. Da ciò deriva una profonda differenza in merito alle responsabilità che hanno rispettivamente la banca e la fondazione: le banche si affannano nel provvedere ai profitti immediati e di corta durata, le Fondazioni hanno invece l’onere di essere lungimiranti e tendere agli investimenti di lungo termine che salvaguardino anche “l’interesse pubblico”.
Veniamo, con questa premessa, al nostro caro caso specifico. Non entreremo nel dettaglio della complessa, quanto ormai a tutti nota, disciplina normativa che regola i rapporti tra la Banca MPS e la sua Fondazione e quella, di matrice europea, che definisce gli obblighi del sistema bancario per il rispetto di vincoli patrimoniali e asset finanziari.
La Banca MPS e la relativa Fondazione si trovano oggi in posizioni diametralmente opposte sui possibili tempi entro cui realizzare il rafforzamento del patrimonio della banca. Una dilazione temporale a giugno rispetto all’ipotesi immediata prevista dalla Banca potrebbe consentire alla Fondazione un passaggio graduale della partecipazione detenuta nella banca con possibili vantaggi, non solo per la Fondazione stessa, ma anche per l’assetto complessivo del profilo azionario della Banca. E’ evidente che queste due diverse posizioni rispecchiano le differenti responsabilità di questi due enti, che, come precisato poco sopra, sono influenzate dalla prospettiva temporale: quella di breve periodo per la Banca, volta alla massimizzazione del valore azionario e quella di lungo periodo della Fondazione che, per statuto, fa della lungimiranza il suo punto di forza per la tutela di tutti gli stakeholder (ovviamente Banca inclusa).
Questo è il quadro che ci troviamo di fronte oggi. Un quadro al quale non eravamo abituati perché negli ultimi anni la distinzione di responsabilità tra questi due soggetti era sostanzialmente inesistente. La politica di allora, che speriamo vivamente resti solo uno sbiadito ricordo, aveva depotenziato il ruolo della Fondazione a mero soggetto subalterno relegato a svolgere una funzione d’inutile rappresentanza a livello locale e nazionale. Tutto ciò avvenne con il posizionamento ai ruoli di vertice di persone esse stesse subalterne e dotate di una buona dose di incompetenza, nonché con l’appoggio a tale politica della cittadinanza, grazie alle generosissime elargizioni a pioggia che la fondazione ogni anno si premurava di garantire. Ma questo è il passato, un passato che però, è bene ricordare soprattutto a chi in questa terra ci vive da poco, non è stato condiviso da tutti. Molti hanno combattuto contro questo sistema con convinzione, senza sposarlo e subendo in prima persona le conseguenze che derivavano dal non essere conformi.
Questi recenti cambiamenti di rotta che vedono la Fondazione riacquistare il proprio ruolo devono essere letti in maniera positiva e propositivamente avvalorati perché questa terra sta scontando proprio una visione di breve termine che negli ultimi anni è stata l’unica costante. Le conseguenze di questa impostazione sono sotto gli occhi di tutti, e, sono soprattutto sulla pelle delle persone che oggi si trovano in precarietà lavorativa, che rientrano nella cifra spaventosa degli esuberi e vivono momenti di difficoltà personale e familiare anche perché la prospettiva di breve periodo è stata perpetuata con incompetenza e ignoranza dalla classe dirigente bancaria e politica fino a poco tempo fa.
La salvaguardia della Banca e della Fondazione è un interesse nazionale, regionale e locale. Su questo punto non ci sono dubbi. E per salvaguardare quel che resta di un patrimonio storico, culturale e patrimoniale la banale logica vorrebbe che si assumessero comportamenti opposti a quelli finora adottati e che hanno depauperato in maniera indegna ciò che la città da secoli aveva avuto a cuore di costruire. La visione di breve periodo non è più sostenibile, l’attenzione agli interessi di una sola parte degli stakeholder non è condivisibile, anzi è da combattere. Ben ci rendiamo conto che probabilmente i vertici della Banca hanno una visione poco corretta della forza di questo territorio; la mancanza di una forza politica coesa a governo della città nonostante la maggioranza e l’incapacità di questa stessa maggioranza di uscire dagli sterili individualismi per compattarsi con la minoranza in questioni di così vitale importanza sono sicuramente sintomi di debolezza politica. Ma ci preme rammentare che la forza di un territorio non si misura con la forza politica di un governo. Un territorio, così come la Banca, ha una molteplicità di stakeholder, ci sono le istituzioni, ma anche le associazioni private, pubbliche, i consorzi e i sindacati, oltre, ovviamente a tutti i cittadini. Bene, riteniamo che sia ora che questa moltitudine di soggetti si compatti per sposare la logica dell’assunzione di comportamenti opposti a quelli finora adottati. D’altra parte sempre la logica ci impone un’ulteriore riflessione. Ma per quale motivo i vertici della Banca, non ravvisando rischi ulteriori per la Banca stessa nel posticipare di qualche mese l’aumento di capitale, assumono una posizione così rigida rispetto alle richieste della Fondazione? Almeno una spiegazione chiara a tutti, ma proprio a tutti gli stakeholder, magari con una semplice nota potrebbero fornirla? O forse ritengono che la platea non sia in grado di comprendere l’eventuale spiegazione? Se così fosse ci troveremmo di fronte ad un’ennesima classe dirigente di dubbia capacità valutativa.
A ognuno il proprio mestiere. Che la banca faccia la banca ricominciando a considerare tra le sue attività principali quella propriamente bancaria che vuole accanto alla raccolta quella di erogazione dei prestiti, aggiungiamo noi, soprattutto alle imprese e i cittadini, e, che s’imponga una visione, almeno intermedia, tra il breve e lungo periodo. Che la Fondazione faccia la Fondazione ponendo attenzione agli interessi di tutti in maniera equa, avendo cura di garantire, per questa via, il più ampio interesse generale. Solo a queste condizioni riteniamo di poter continuare anche noi a fare il nostro mestiere, quello di garantire, senza prese di posizioni forti e distruttive per gli altri stakeholder, la tutela dei diritti e il benessere dei lavoratori e di tutti i cittadini della comunità.
Il Segretario Generale UST SIENA GROSSETO
Vincenzo Brancaglione