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SIENA. La Guardia di Finanza che ha scoperto una società con sede in Gran Bretagna, la quale, per risparmiare sul fisco, si è avvalsa irregolarmente di una stabile organizzazione presente in Italia. Al termine dell’attività di verifica sono emersi illeciti di natura fiscale di rilievo anche penale. Il controllo era scattato diversi mesi fa ed è stato condotto nei confronti della succursale italiana, riconducibile ad una società estera operante nel settore finanziario. Un attento studio della normativa, non solo nazionale, cui ha fatto seguito l’approfondito esame del contenuto della dichiarazione, ha permesso di rilevare l’indebito ricorso alla “partecipation exemption”, meglio conosciuta con l’acronimo PEX. In estrema sintesi, tale istituto rende pressoché esenti, solo al verificarsi di talune condizioni, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società.
In poche parole, l’impresa estera ha venduto una parte di azioni da essa detenute in una società nazionale, conseguendo un plusvalore (differenza tra il valore d’acquisto delle azioni e quello di vendita) per circa 1,4 milioni di euro, che costituisce una componente positiva di reddito. In fase di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’impresa si è avvalsa dello speciale regime fiscale della “partecipation exemption” che consente, in via teorica, di poter abbattere il valore fiscale realizzato in misura pari al 91% circa, sottoponendo a tassazione solo il 9% dell’intero reddito conseguito per un valore pari a €. 127.000.
Ma un’attenta analisi dei requisiti prescritti dalla normativa vigente per poter accedere all’agevolazione, ha messo in luce, fra l’altro, che l’impresa britannica, ancorché disponesse nel territorio italiano di una stabile organizzazione, non ha mai contabilizzato in bilancio le partecipazioni vendute (che è uno dei requisiti essenziali), né istituito le scritture contabili obbligatorie. Tutto ciò viola il testo unico per le imposte sui redditi e della prassi emanata nel tempo dal Ministero dell’Economia e finanze, ed ha comportato un recupero a tassazione per un valore di circa un milione e trecentomila euro.
Il legale rappresentante in Italia, che ha anche sottoscritto la dichiarazione dei redditi irregolare, è stato denunciato per l’ipotesi di reato di infedele dichiarazione per aver sottratto al fisco italiano i proventi derivanti dalla consistente plusvalenza realizzata di € 1.300.000. All’importo omesso verrà applicata dall’Agenzia delle entrate l’imposta vigente all’epoca per le società di capitali, la cui aliquota era pari al 33%, a cui dovranno aggiungersi le relative sanzioni dal 100% al 200% dell’imposta evasa.
In poche parole, l’impresa estera ha venduto una parte di azioni da essa detenute in una società nazionale, conseguendo un plusvalore (differenza tra il valore d’acquisto delle azioni e quello di vendita) per circa 1,4 milioni di euro, che costituisce una componente positiva di reddito. In fase di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’impresa si è avvalsa dello speciale regime fiscale della “partecipation exemption” che consente, in via teorica, di poter abbattere il valore fiscale realizzato in misura pari al 91% circa, sottoponendo a tassazione solo il 9% dell’intero reddito conseguito per un valore pari a €. 127.000.
Ma un’attenta analisi dei requisiti prescritti dalla normativa vigente per poter accedere all’agevolazione, ha messo in luce, fra l’altro, che l’impresa britannica, ancorché disponesse nel territorio italiano di una stabile organizzazione, non ha mai contabilizzato in bilancio le partecipazioni vendute (che è uno dei requisiti essenziali), né istituito le scritture contabili obbligatorie. Tutto ciò viola il testo unico per le imposte sui redditi e della prassi emanata nel tempo dal Ministero dell’Economia e finanze, ed ha comportato un recupero a tassazione per un valore di circa un milione e trecentomila euro.
Il legale rappresentante in Italia, che ha anche sottoscritto la dichiarazione dei redditi irregolare, è stato denunciato per l’ipotesi di reato di infedele dichiarazione per aver sottratto al fisco italiano i proventi derivanti dalla consistente plusvalenza realizzata di € 1.300.000. All’importo omesso verrà applicata dall’Agenzia delle entrate l’imposta vigente all’epoca per le società di capitali, la cui aliquota era pari al 33%, a cui dovranno aggiungersi le relative sanzioni dal 100% al 200% dell’imposta evasa.