Il Carroccio commenta lo scioglimento del Comitato Siena per Renzi
SIENA. È già finita la sfida per il cambiamento della sinistra senese. Lo scioglimento del comitato senese di sostegno a Matteo Renzi è sicuramente una notizia di secondo piano rispetto a quanto sta succedendo a Roma, ma sotto sotto cela dei dati politici abbastanza rilevanti: il primo è il fallimento della sfida riformatrice interna, abbattuta da una forza conservatrice abituata a tramare nell’ombra e cupidigia di potere, mentre il secondo dato, certamente il più importante, è che il primo sindaco renziano dopo lo stesso Renzi sembra essere rimasto da solo con il cerino in mano a poco più di qualche mese dal proprio insediamento. Non è passato neppure un anno dalla campagna elettorale che vedeva Valentini come il paladino della discontinuità, il primo discepolo del fiorentino Renzi in terra senese dai tempi della guerra tra guelfi e ghibellini, colui che si poteva fregiare di poter avere un contatto diretto con il sindaco di Firenze tanto da mandargli un messaggio al cellulare per chiedere lumi sulle nomine da fare. I sogni tanto evocati in campagna elettorale devono essere svaniti però quando si è concluso lo spoglio dei voti e si è palesata la realtà. Una realtà che ha visto vincitore per un soffio un sindaco politicamente eunuco, senza una maggioranza solida in quanto non è la sua maggioranza, senza più una Fondazione forgiatrice di quel potere “invincibile” fondato dall’unione tra potere politico e potere economico e attraverso la quale si è sempre esercitato una sorta di moderno potere temporale e coercitivo nei confronti della comunità tutta.
Ieri gli innovatori, i rottamatori, o più semplicemente i sostenitori di Matteo Renzi in terra di Siena, forse alla luce anche di quanto accaduto nei palazzi romani con la vicenda della fiducia al Premier Letta, hanno alzato bandiera bianca. Si sono arresi. Ed hanno lasciato solo il sindaco Valentini. Probabilmente avranno capito di trovarsi di fronte ad un muro di gomma. Forse hanno scoperto di avere la strada sbarrata da tutte le parti e di essere in un vicolo cieco. E forse hanno anche scoperto che esistono anche dei democristiani più democristiani di loro che, avvantaggiandosi, hanno già incominciato a ricostruire quella DC 2.0 che tutti individuavano come naturale alveo proprio di Matteo Renzi. Forse si sono accorti di aver giocato ai democratici rivoluzionari senza considerare che il gioco veniva portato avanti in altri luoghi, da altre persone. Un po’ come quando si va al casinò convinti di poterlo sbancare semplicemente giocando e affidandosi alla propria abilità di giocatore ed in definitiva alla fortuna, salvo scoprire che il banco vince sempre ed il portafoglio si è miseramente svuotato. Il casinò non si può sbancare giocando.
Adesso il rottamatore trasformatosi in riciclatore, dovrà fare delle scelte che si riveleranno pressoché irreversibili. Continuare a spendere energie dentro ad un partito che non lo vuole, fino a prendersi la segreteria con il rischio di una scissione della nomenclatura e di ritrovarsi non più con un partito che vale il 25-30%, ma con uno che ne vale almeno la metà? Oppure lasciare il giocattolo PD in mano ai soliti burattinai ed arricchire le file della nuova DC ma lasciando perdere una volta per tutte la sua smodata ambizione di fare il leader e di apportare la propria spinta innovatrice per il bene dell’Italia?
Ehhh sì…difficile fare le rivoluzioni democratiche. Noi leghisti lo sappiamo bene, ancorché ci abbiamo provato più volte a cambiare questo Paese. Addirittura direttamente dall’interno delle istituzioni. Un passo ben più avanzato di quello che stanno provando a fare i renziani, ancora fermi a prendersi il partito o a cercare la loro naturale collocazione nel panorama partitico. Noi il partito non avevamo bisogno di prendercelo; lo avevamo già. Ed almeno in un paio di occasioni ci eravamo andati anche vicini. La prima con la legge costituzionale dove si dimezzavano i parlamentari e si superava il bicameralismo perfetto con l’introduzione del Senato Federale, affossata ahinoi dagli italiani con il referendum confermativo del 2001. E la seconda, più recente, con il federalismo fiscale e l’introduzione dei costi standard approvati durante l’ultima legislatura democraticamente eletta, ma bloccati entrambi dal cosiddetto Governo dei Professori.
Ma non si disperino i promotori e gli aderenti ai comitati pro Renzi, possono sempre rifugiarsi in quelle che sono divenute le pratiche più diffuse nella politica italiana: l’immobilismo ed il trasformismo. Oppure possono decidere di dare forza a chi il cambiamento lo insegue da anni e ne ha fatto una ragion d’essere, come noi. Auguriamo sinceramente belle cose a chi ha veramente creduto di poter cambiare questo Paese malato. Perché anche noi continuiamo a crederci e perché sappiamo che tante persone oneste e scevre da ambizioni puramente personali e da logiche di potere vi avevano aderito. Ma in ogni caso adesso gli auguri più profondi servono all’Italia ed in questo caso a Siena.
Riccardo Galligani – Segretario Provinciale di Siena