Ricordi e passioni al Centro per l'Arte Otello Cirri. Una mostra per il Dibattito sul Contemporaneo
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di Grazia Mancini *
PONTEDERA (Pisa). Eravamo giovani studenti, a Firenze, alla fine degli anni ’60, curiosi ed entusiasti, convinti che la nostra fantasia e il nostro impegno (forse) avrebbero cambiato il mondo.
Mauro Giuntini abitava, come me, a Pontedera, città segnata, allora, dai ritmi della ”grande fabbrica”, che si regolava con il “fischio”(la sirena di entrata e uscita degli operai), abituata alla visione di una enorme quantità di biciclette parcheggiate fuori della fabbrica. La ”vespa” veicolo vissuto come sogno di libertà, che, qualche volta, per gli operai, rimaneva sogno.
Tra le ricerche di Mauro, dopo gli studi all’Accademia di Brera, ricordo i “segni” sulle colline di Orciano fotografati da Giorgio Mancini, ma anche le lunghe file di ”omini di carta” che si muovevano al vento. Figure che si tenevano per mano, come quelle, piccole, che una volta si ritagliavano ai bambini. Ricercava la “leggerezza”, la animava con la carta, con questo materiale che “racconta” da sempre la storia degli uomini, ma non pesa.
Mauro dopo il ‘73 vive e insegna a Milano, ricorda le file lunghissime di biciclette e modella biciclette di carta, fedeli al vero, riproduce con meticolosità tutti i particolari, ma le sue sono leggere, come i sogni. Ritrovo la sua ironia colorata sotto le torri di San Gimignano, nel ’90, dove espone biciclette, vespe e ciclomotori, tutto simile al vero, esageratamente simile, ma leggero, grondante di colore. Costruisce una ’500, in misure al vero, con l’entusiasmo di un bambino e la manualità dei vecchi artigiani; sotto un antico portico, tra lo stupore dei visitatori. Solo lui non è stupito, lavora con impegno e disorienta chi lo osserva mentre costruisce, con pacchi di vecchi giornali e colla i suoi mezzi di trasporto, come se dovesse far rivivere i suoi ricordi.
Dopo la carta scopre la duttilità del lamierino di rame, che modella come la carta, ma dal quale ottiene superfici più scheggiate, con le quali giocano la luce e le ombre. Si ha la sensazione che il materiale sia meno effimero, ma si acciacca e perde la credibilità del metallo.
I suoi mezzi di trasporto sono sempre oggetti singoli, non abitati o, meglio, abitati non dall’uomo, ma dai simboli che raccontano una storia. Oggetti che raramente convivono, la loro solitudine è precisa, particolare, colta in un momento specifico, l’oggetto è usuale anche se non sembra coinvolto dalla vita vissuta.
“Ogni evento quotidiano…pesa come un cumulo di neve” dice Mauro, ma forse proprio per questo le sue sculture sono leggere, volano sopra gli eventi, li raccontano e se ne staccano.
Mauro racconta quasi sempre oggetti per “andare”, sembra farci chiedere: “dove?” Ma non ci risponde, andare con attenzione ad ogni dettaglio, ad ogni segno che colora e stupisce, felici o tristi, ma presenti ad ogni attimo di vita. Mauro Giuntini ritorna a Pontedera da pensionato, si allontana da quei giovani che, a Brera, ha coinvolto nel gioco del teatro e dei quali ha accolto freschezza e ironia e riporta le sue “vespe”, i ricordi del ragazzo di provincia, sensibile e stupito.
* Grazia Mancini direttore artistico del Comitato scientifico del Centro per l’Arte Otello Cirri
Nella foto Grazia Mancini con l’artista Mauro Giuntini
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