La seguono il Cnr, la Statale di Milano, Padova, La Sapienza, Torino...
ROMA. La migliore ricerca in Italia si fa nel settore pubblico, in particolare all’università. Con l’ateneo di Bologna che sbaraglia tutti, seguito da Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche, il più grande centro di ricerca italiano), e dalla Statale di Milano. Quinta la Sapienza di Roma. Lo rivela la classifica stilata da Via-Academy, una accademia virtuale nata ‘bottom-up’, dal basso, a Manchester, per volontà di cervelli emigrati come Mauro Degli Esposti (biologo ricercatore a Manchester), Silvia Massini (Business School di Manchester), Lucio Piccirillo (astrofisico nello stesso ateneo).
LA CLASSIFICA – Tra i primi dieci istituti di ricerca ben sette sono atenei pubblici. Apre la classifica l’Alma Mater di Bologna, seguita dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dalla Statale di Milano. Poi ci sono Padova, la Sapienza di Roma, Torino, l’Inaf, Istituto nazionale di astrofisica. I primi due istituti privati compaiono in ottava e decima posizione, e sono l’Ospedale San Raffaele e l’Istituto nazionale dei tumori, nel capoluogo lombardo. Tra di loro, al nono posto, si piazza l’università di Firenze. Via-academy si è soffermata sui primi 50 istituti di ricerca. Anche andando oltre il decimo posto prevalgono le università statali
I CRITERI – La classifica è basata sul numero di scoperte di peso dei migliori scienziati e ricercatori che lavorano in Italia. A prendersi la briga di contarle, i loro colleghi, anch’essi italiani, che però lavorano all’estero, riuniti nell’associazione Virtual italian academy (Via-academy), nata a Manchester, in Inghilterra. Via-academy ha dapprima classificato i migliori cervelli attivi in Italia tenendo conto della quantità e della rilevanza accademica delle loro scoperte. Quindi li ha suddivisi per posto di lavoro, ricavando una classifica delle strutture di ricerca. Il valore delle ricerche di ciascuno studioso è misurato col cosiddetto “indice h”: se uno scienziato a “h-index” 32, ad esempio, significa che ha fatto 32 scoperte citate ciascuna almeno 32 volte, in scoperte di altri suoi colleghi. Quello delle citazioni da parte dei colleghi è un sistema ormai invalso in tutto il mondo per stimare l’impatto della ricerca. L’“indice h” privilegia in particolare i ricercatori che ottengono molti risultati di rilievo, a scapito di chi ne produce tanti ma di scarso interesse, o di chi fa il colpaccio isolato. Per la graduatoria in questione, sono stati considerati solo gli studiosi con un “indice h” di almeno 30. Poi sono stati raggruppati per centri di ricerca, e per ognuno di questi si sono sommati gli “indici h” dei relativi ricercatori. Più alta la somma, più alta la posizione in classifica. Il limite principale della classifica è forse il fatto che la valutazione non è necessariamente esaustiva. Gli studiosi considerati sono infatti solo quelli rintracciati dai loro colleghi d’Oltremanica. E’ però plausibile che col tempo, e la notorietà, la classifica (aggiornata in tempo reale) vada via via completandosi con un numero crescente di partecipanti. Altro limite di cui tener conto è che l’ “indice h” funziona principalmente come paragone tra ricercatori del medesimo campo disciplinare, e che privilegia chi ha una lunga carriera alle spalle rispetto ai giovani, per quanto brillanti. L’indice varia infatti sensibilmente tra ambiti diversi (è piuttosto alto ad esempio in campo biomedico) e privilegia, ovviamente, chi ha una lunga carriera alle spalle rispetto ai giovani per quanto brillanti. Senza poi contare che dall’uso di questi dati bibliometrici escono di solito svantaggiati quei ricercatori che non pubblicano i loro lavori in inglese.
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