L'Italia deve attendere. Ed apprendere
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di Paola Dei
SIENA. Terribilmente bello, travolgente, intenso, queste le prime definizioni con le quali descrivere la pellicola che si è aggiudicata il Leone d’Oro alla 69a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
“Pietà” di Kim-Ki-duk, regista coreano già noto al grande schermo per i suoi Film privi di pruderie e sentimentalismi fra cui ricordiamo “Crocodile” o “La casa vuota”, ha commosso pubblico e critica con i suoi contrasti e la coniugazione di due stati antagonisti tanto forti quali lo sono l’amore e l’odio, che muovono i gesti dei protagonisti fin dai primi fotogrammi della pellicola.
Tutto si gioca intorno ad una vendetta studiata nei minimi dettagli da una madre che ha perduto il figlio, tanto amato da sopravvivergli soltanto per riscattarne la morte e portare a termine quanto si è prefissata in mezzo a territori aspri ed accidentali che ci conducono dentro ad una grande prova di regia dove ogni movimento, ogni frase, ogni gesto sono esattamente nel posto dove devono essere. La madre, una figura che ha la funzione di proteggere il frutto del suo grembo, fino alla fine mantiene celata la sua identità indossando una metaforica maschera enigma che le permette di agire e annientare la propria reale personalità in un legame continuo fra cielo e terra, morte e aldilà, vendetta e pietà. Il cineasta nella durezza di alcune scene oscura i fotogrammi, fa intuire, dedurre attraverso suoni, colori, sensazioni, mentre la madre, personaggio più importante sia nella storia dell’umanità sia nella storia personale, è un simbolo arcaico ed universale al quale ognuno di noi appartiene più che a qualsiasi altra donna. Tematica espressa in maniera magistrale dal cineasta che ci mostra la trasformazione del protagonista dal momento in cui pensa di aver ritrovato l’amore mai sentito e perduto di colei che gli ha dato la vita.
Seconda pellicola a salire sul palco della Mostra aggiudicandosi il Premio Speciale per la Regia: The Master, opera diretta da Paul Thomas Anderson con splendidi protagonisti Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman e Amy Adams. Coppa Volpi a Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, un ex aequo molto gradito ed approvato da tutti. La pellicola narra la storia di un ragazzino che si imbatte in una setta religiosa dove si innamora della figlia del capo. Piacevole, ben fatta, è apprezzabile soprattutto per i due attori che hanno una recitazione perfetta e trasformano anche scene meno dense di senso in un capolavoro di sentimenti ed emozioni mai scontate.Terza pellicola considerata scandalosa: Paradise Faith, del regista austriaco Ulrich Seidl, dove l’integralismo religioso fa da sfondo e da pretesto all’incomunicabilità della coppia che due anni prima dell’incidente di uno dei due sembrava sostenere la relazione grazie ad una ottima intesa sessuale. Considerato film scandalo per la scena d’amore della donna con un Crocefisso, l’opera del cineasta ha raggiunto lo scopo di farci provare profonda tristezza di fronte a tanta desolante determinazione di una femmina passionale e appassionata che riversa ogni suo desiderio di sesso sulla fede trasformando una Entità Spirituale in un essere in carne e ossa mentre dal marito pretende assoluta spiritualità.
Si intuisce che la donna si è ammalata dopo l’incidente del marito e per sopportarne le conseguenze si è convinta che tutto sia stato frutto di una opera Divina. Emozioni troppo forti con le icone religiose e mancanza di sentimento verso colui al quale anni prima aveva detto sì.
E’ mancata all’appello la pellicola russa del regista Kirill Serebrennikov, cineasta del primo film in concorso, ‘Izmena”, una storia di tradimento dalle tinte fosche e con un accento Kafkiano o Dostoewskjiano che ha ricordato le opere di Michelangelo Antonioni.
Miglior attrice protagonista l’ israeliana Hadas Yaron, protagonista del film di Rama Burshstein, Fill the Void, che si è aggiudicata la Coppi
Volpi come migliore attrice della 69a edizione del Festival del Cinema di Venezia.
La protagonista, che nel delicato film della Burshstein ha interpretato il ruolo della giovane sposa Shira, è la prima attrice israeliana a ricevere questo importante riconoscimento.
Per l’Italia i riconoscimenti vanno tutti a Fabrizio Falco, come giovane attore emergente molto credibile sia nei panni del figlio “imbranato”
del Film di Ciprì sia in quelli del ragazzo disturbato nella pellicola di Bellocchio. Due stupende prove attoriali.
Per il resto l’Italia deve ancora attendere e apprendere.
SIENA. Terribilmente bello, travolgente, intenso, queste le prime definizioni con le quali descrivere la pellicola che si è aggiudicata il Leone d’Oro alla 69a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
“Pietà” di Kim-Ki-duk, regista coreano già noto al grande schermo per i suoi Film privi di pruderie e sentimentalismi fra cui ricordiamo “Crocodile” o “La casa vuota”, ha commosso pubblico e critica con i suoi contrasti e la coniugazione di due stati antagonisti tanto forti quali lo sono l’amore e l’odio, che muovono i gesti dei protagonisti fin dai primi fotogrammi della pellicola.
Tutto si gioca intorno ad una vendetta studiata nei minimi dettagli da una madre che ha perduto il figlio, tanto amato da sopravvivergli soltanto per riscattarne la morte e portare a termine quanto si è prefissata in mezzo a territori aspri ed accidentali che ci conducono dentro ad una grande prova di regia dove ogni movimento, ogni frase, ogni gesto sono esattamente nel posto dove devono essere. La madre, una figura che ha la funzione di proteggere il frutto del suo grembo, fino alla fine mantiene celata la sua identità indossando una metaforica maschera enigma che le permette di agire e annientare la propria reale personalità in un legame continuo fra cielo e terra, morte e aldilà, vendetta e pietà. Il cineasta nella durezza di alcune scene oscura i fotogrammi, fa intuire, dedurre attraverso suoni, colori, sensazioni, mentre la madre, personaggio più importante sia nella storia dell’umanità sia nella storia personale, è un simbolo arcaico ed universale al quale ognuno di noi appartiene più che a qualsiasi altra donna. Tematica espressa in maniera magistrale dal cineasta che ci mostra la trasformazione del protagonista dal momento in cui pensa di aver ritrovato l’amore mai sentito e perduto di colei che gli ha dato la vita.
Seconda pellicola a salire sul palco della Mostra aggiudicandosi il Premio Speciale per la Regia: The Master, opera diretta da Paul Thomas Anderson con splendidi protagonisti Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman e Amy Adams. Coppa Volpi a Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, un ex aequo molto gradito ed approvato da tutti. La pellicola narra la storia di un ragazzino che si imbatte in una setta religiosa dove si innamora della figlia del capo. Piacevole, ben fatta, è apprezzabile soprattutto per i due attori che hanno una recitazione perfetta e trasformano anche scene meno dense di senso in un capolavoro di sentimenti ed emozioni mai scontate.Terza pellicola considerata scandalosa: Paradise Faith, del regista austriaco Ulrich Seidl, dove l’integralismo religioso fa da sfondo e da pretesto all’incomunicabilità della coppia che due anni prima dell’incidente di uno dei due sembrava sostenere la relazione grazie ad una ottima intesa sessuale. Considerato film scandalo per la scena d’amore della donna con un Crocefisso, l’opera del cineasta ha raggiunto lo scopo di farci provare profonda tristezza di fronte a tanta desolante determinazione di una femmina passionale e appassionata che riversa ogni suo desiderio di sesso sulla fede trasformando una Entità Spirituale in un essere in carne e ossa mentre dal marito pretende assoluta spiritualità.
Si intuisce che la donna si è ammalata dopo l’incidente del marito e per sopportarne le conseguenze si è convinta che tutto sia stato frutto di una opera Divina. Emozioni troppo forti con le icone religiose e mancanza di sentimento verso colui al quale anni prima aveva detto sì.
E’ mancata all’appello la pellicola russa del regista Kirill Serebrennikov, cineasta del primo film in concorso, ‘Izmena”, una storia di tradimento dalle tinte fosche e con un accento Kafkiano o Dostoewskjiano che ha ricordato le opere di Michelangelo Antonioni.
Miglior attrice protagonista l’ israeliana Hadas Yaron, protagonista del film di Rama Burshstein, Fill the Void, che si è aggiudicata la Coppi
Volpi come migliore attrice della 69a edizione del Festival del Cinema di Venezia.
La protagonista, che nel delicato film della Burshstein ha interpretato il ruolo della giovane sposa Shira, è la prima attrice israeliana a ricevere questo importante riconoscimento.
Per l’Italia i riconoscimenti vanno tutti a Fabrizio Falco, come giovane attore emergente molto credibile sia nei panni del figlio “imbranato”
del Film di Ciprì sia in quelli del ragazzo disturbato nella pellicola di Bellocchio. Due stupende prove attoriali.
Per il resto l’Italia deve ancora attendere e apprendere.