Un film della Comencini discusso e poco coinvolgente
di Paola Dei
Dalla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia un’altra pellicola uscita nelle sale il 28 ottobre prodotta da Cattleya e Rai Cinema per la Regia di Cristina Comencini con Claudia Pandolfi e Filippo Timo dal titolo: Quando la notte.
Due solitudini che si incontrano fra i tagli rocciosi della montagna dove pian piano si svelano verità nascoste e dolori sopiti che riaffiorano e rivivono fino alla scoperta di nuove possibilità. I protagonisti sembrano annusarsi come due animali braccati, si scoprono, si raccontano senza parlare: lui cupo e introverso ma con principi solidi come la terra dove ha deciso di vivere, lei alle prese con una maternità non voluta mentre infrange il mito della mamma italiana tutta amore e abnegazione per la famiglia e i figli.
La vicenda narra la storia di Marina (Claudia Pandolfi), una madre che porta il suo bambino a passare un po’ di tempo in montagna in una casa che è di proprietà di Manfred (Filippo Timi). Il bambino ogni notte piange disperatamente nell’impotenza di Marina che non riesce a farlo smettere, Manfred che abita al piano di sopra una sera avverte un insperato silenzio dopo le grida del bambino, scende e lo trova a terra ferito mentre la madre in un’altra stanza appare paralizzata ed immobile.Il diniego di lui porterà sulla strada di una comunicazione tortuosa e fatta di colpi di scena spesso non troppo coinvolgenti anche se densi di significato.
La pellicola che non ha riscosso molto successo a Venezia presenta alcuni dialoghi troppo forzati e, come accade spesso alle opere tratte da libri, risulta pesante e troppo scontata in alcune scene, soprattutto in quella finale dove due funicolari si incontrano ma sono destinate a viaggiare in direzioni opposte, come due alfieri di colore diverso, sempre vicini ma impossibilitati a trovarsi sulle stesse caselle. Raffinata metafora che Boris Spassky, campione Mondiale di scacchi nel 1969 battuto successivamente da Bobby Fisher, utilizzò riferendosi alla sua relazione con la prima moglie. Chi ha letto la recensione della pellicola su Bobby Fisher ha già incontrato questi personaggi e può rendersi conto anche dalla battuta qui riportata della capacità di sintesi di questi grandi campioni.
Il testo scritto dalla stessa Cristina Comencini – che da anni si divide fra macchina da presa e scrittura – sembra riuscire a mantenere un clima di suspence molto più del Film ed a cogliere gli aspetti introspettivi che conducono il lettore alla ricerca delle proprie rappresentazioni mentali, la pellicola non ce la fa ma resta dignitosa ed ha il merito, se così lo vogliamo definire, di aver colto e denunciato un aspetto della donna di oggi mentre ha trasformato lo spirito sacrificale di una madre nella ricerca di senso di una donna del terzo millennio sempre salvata da un Principe Azzurro dalle fattezze montanare ma giunto appena in tempo per sfatare la tragedia, salvare il piccolo e far uscire dal torpore Marina.
Una favola dalle tinte scure e senza il lieto fine dove però non manca il Principe come in tutte le favole che si rispettino.