Liz Garbus nel suo docufilm ci mostra senza orpelli la vita del più grande scacchista americano
di Paola Dei
SIENA. Chi ama gli scacchi ha certamente sentito parlare di Bobby Fisher, il campione del mondo di scacchi più controverso e irrazionale che la storia di questo sport – dove non si usa il corpo ma la mente – abbia mai annoverato fra i suoi adepti. Bobby Fisher, figlio di ebrei e antisemita convinto, è l’unico americano che è riuscito a battere i russi e che nel momento del suo massimo splendore ha abbandonato tutto perché le modifiche che chiedeva di apportare alla gara non furono accolte dai giudici.
La sua vita e le sue travagliate peripezie sono raccontate in un bellissimo documentario, in cui alcune parti sono mancanti ma che, rispetto ad un precedente film nel quale il suo nome veniva usato soltanto per il botteghino (ma la storia narrata non era la sua), ha il merito di essere intellettualmente onesto. Girato dalla regista statunitense Liz Garbus, il docufilm ci mostra senza orpelli o sentimentalismi la vita del più grande scacchista americano, divenuto poi cittadino onorario dell’Islanda che lo accolse quando, a causa di una violazione di embargo per giocare una partita, fu condannato ed impossibilitato a ritornare in patria. Nel 1972 battè a Reykjavik il russo Boris Spasskij e l’Islanda non dimenticò mai quelle emozioni regalate alla Nazione.
Spasskij contrariamente a Fisher aveva mantenuto un carattere impertubabile e non era travagliato come il suo avversario che giunse in gara con un ritardo notevole ma che fu poi in grado di recuperare a vincere l’ambito titolo. Spasskij davanti ad un campione di cui riconobbe la superiorità si alzò ed applaudì ed inseguito rimase suo amico difendendolo anche quando fu condannato. Altro episodio che ci fa comprendere il carattere buono ed accogliente di Spasskij è il momento in cui Bobby chiese di giocare lontano dalle telecamere in una stanza separata da quella centrale, perché i rumori non gli permettevano di concentrarsi. Se Spasskji non avesse accolto questa richiesta sarebbe divenuto meccanicamente Campione del Mondo, invece acconsentì e fu sempre convinto della superiorità dell’avversario.
Dopo la vittoria su Spasskij, il campione Fisher fu chiamato a difendere il titolo nel 1975 con Karpov ma presentò una serie di richieste che non furono accolte ed egli rinunciò a suo titolo sparendo dalla scena per venti anni. Su Fisher e sul gioco degli scacchi hanno studiato molti psicoanalisti ma colui che più di altri ci ha lasciato una traccia molto interessante è R. Fine, psicologo e maestro di scacchi. Egli nel testo: La psicologia del giocatore di scacchi, riprendendo da una vecchia teoria sostiene che tutti i giocatori hanno avuto problemi con la figura paterna e che ogni scacco matto è una battaglia vinta contro il padre.
Fisher fu abbandonato dal vero padre e successivamente anche dalla madre medico, entrambi erano ebrei, ma Bobby sviluppò un profondo antisemitismo, dimostrandosi intollerante e settario.
Morì a 64 anni tanti quante sono le caselle degli scacchi.