L'innovazione del sistema Siena può e deve passare proprio dalla cultura
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SIENA. Non mi interessa tanto aggiungere la mia ricetta alle tante che in questi giorni si sono avvicendate sul Santa Maria della Scala. Ho già detto e scritto tanto. Mi interessa, viceversa, portare elementi che possano contribuire a determinare il campo di discussione per i soggetti che dovranno prendere le decisioni di merito. La prima questione che mi preme sottolineare è che alle forme giuridiche si arriva dopo aver messo a punto le volontà dei committenti, in questo caso quella propria del Comune di Siena. Che, per questo lavoro, la forma giuridica di gestione per il Santa Maria della Scala deve tener conto delle ristrettezze in cui si dibatte attualmente la nostra città e, partendo da queste ultime, individuare dei percorsi fattibili. Così come sarebbe il caso di prendere atto di cosa ha significato l’applicazione delle varie leggi in merito al ruolo dei privati nella gestione dei beni culturali, da Ronchey a Paolucci da Veltroni a Urbani. Valutare le contraddizioni che tali leggi hanno aperto nei confronti del pubblico, ma soprattutto nel rapporto fra il bene culturale, il territorio e l’identità sociale. Stimare come la sussidiarietà verticale fra lo Stato e le varie articolazioni istituzionali è stata sostituita da una sussidiarietà orizzontale che ha emarginato il pubblico mortificandone il ruolo. Mortificazione dovuta, quasi sempre, all’incapacità della politica di interpretare il proprio ruolo, politica che ha delegato a terzi la definizione delle politiche economico-culturali. Ci sono anche su questo aspetto delle possibilità di inversione di tendenza, uno scatto di innovazione amministrativa che, se compiuto, potrebbe rappresentare un esempio significativo nel panorama nazionale.
Discutere del Santa Maria della Scala non può non tener conto che un piano del genere deve approntare un progetto città. Il Santa Maria è un piano per la città! È tutto il territorio che risentirà di queste scelte nel bene e nel male. Affrontare la discussione come sta avvenendo ad esempio su Eataly non ha senso ed è fuorviante. Le assegnazione degli “spazi” avvengono sempre con procedure pubbliche e di norma dopo avere stabilito un programma complessivo che tenga conto, anche, delle ricadute sulla fragile struttura economico-commerciale di Siena. Anche su questo aspetto l’antico Spedale può rappresentare una opportunità di crescita per gli operatori senesi del settore, se ben gestito.
L’errore sarebbe, a mio parere, continuare a rinverdire le rendite di posizione nel settore culturale, così come del resto sta già avvenendo, dopo la fallimentare esperienza della politica senese che da anni ha lavorato per cementare un blocco sociale conservatore e parassitario.
L’innovazione del sistema Siena può e deve passare proprio dalla cultura e dal Santa Maria della Scala, ciò potrà avvenire solo se la città ne prenderà piena consapevolezza. Divertente, poi, è leggere di civiltà figurativa senese e legarla allo spostamento della Pinacoteca. Divertente perché, ammesso anche che sia solo questa la novità, la costruzione di un museo nel 2014 non è staccare dei quadri da una parete e appenderli a un altro muro. Spiritoso anche perché qualcuno ci dovrebbe dire come lo Stato intende utilizzare, ammesso che lo voglia e lo possa, Palazzo Buonsignori. I musei a Siena ci sono già e cambiarne di luogo non significa, certo, progettare il futuro. Ci sarebbe molto altro da dire, ma per ora mi fermo qui e spero che queste poche considerazioni possano essere utili.
Pierluigi Piccini
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