Attenzione ai guasti irrimediabili che l'inestinguibile bisogno di energia farà alla bellezza di questa terra
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di Silvana Biasutti
SIENA. Questi anni sono passati, stanno passando, in un soffio. Ero anche convinta che ogni (mia) passione fosse spenta. E certo molta energia, molte illusioni si sono consumate nello scontro inevitabile con la logica che domina questo tempo – una forza che mi sembra eterodiretta e che continua a tenere una considerevole parte dei cittadini legati a uno schema che imbriglia l’esistenza a un carro produttivo sempre più stringente e sempre meno umano.
Tuttavia nella notte del recente 13 febbraio, dopo essermi unita agli amiatini che puntualizzavano con acribia la situazione della loro montagna al presidente Giani della Regione Toscana, con documentazioni precise e inquietanti – dopo aver ascoltato argomenti e richieste, rimasti altrettanto puntualmente senza risposte – sono rimasta insonne, mentre mi si accumulavano ricordi di riunioni e battaglie e illusioni mortificate negli anni, prima di passare altrove a fare altro e lasciar perdere una terra che aveva avuto il potere di polarizzare i miei sentimenti, facendomi tralasciare importanti di pezzi di vita precedente.
Se scrivo questo pezzullo è per mettere un paletto e appendervi un avvertimento.
Mi ha fatto riscuotere – dall’inevitabile idea di impotenza che viene, quando capisci che la cecità perdura di fronte a evidenze più che lampanti; e forse non è nemmeno più cecità quando sai bene che ci sono forze in campo che magnetizzano le parole della politica dando loro incongruenza inaudita e quasi ridicola (se non fosse drammatica) – mi ha fatto dimenticare la mia neo-rassegnazione lo sguardo (e le parole) del sindaco di Cinigiano. Ho riconosciuto nel suo approccio dialettico e preoccupato un esile filo a cui mi aggrappo, nella speranza che possa aggregare un po’ d’intuito, di senso del futuro da parte di persone che abbiano più futuro della sottoscritta, in cui credere e per cui battersi.
Mi è parso di leggere nel breve commento e negli occhi di quel sindaco una preoccupazione, non solo per la salute e per la sicurezza e per l’adeguatezza normativa degli impianti geotermici, ma anche (bensì) per qualcosa che aveva il potere d’impensierirlo – ma che sceglieva di non nominare -.
Posso immaginare che lui pensasse all’impatto sul paesaggio, poiché invecchiando non ho perso l’abitudine di camminare per la bella campagna, mai paga di guardarmi intorno e sentire nella mente e nel corpo l’effetto che fa e i benefici che porta ai miei pensieri.
Posso sperare che quel sindaco, come molti imprenditori, come molti (sempre di più) cittadini, sia preoccupato per i guasti irrimediabili che l’inestinguibile bisogno di energia farà alla bellezza di questa terra.
Sì, sto parlando del paesaggio – qualcosa di antico e ben radicato nell’immaginario di chi nella bella campagna vive da quando è nato dandone per scontata la bellezza. Qualcosa, soprattutto (forse anche per un amministratore più sensibile), che è all’origine di realtà economiche, complesse e concatenate tra loro, venute su lentamente ma irresistibilmente, legate ai sentimenti suscitati dalla bella terra, capace di suscitare innamoramenti e amore e benessere.
Realtà economiche che, con la distruzione del bel paesaggio reagiranno con un rantolo.