Uno studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, mette in dubbio un presupposto comune sulla biodiversità. Ricercatori dell’UniSi partecipano allo studio con dati sulla vegetazione
SIENA. Le specie vegetali possono svolgere funzioni diverse all’interno di un ecosistema, anche se strettamente imparentate tra loro. Questa conclusione è stata raggiunta grazie ad un’analisi globale di circa 1,7 milioni di rilievi su comunità vegetali.
Lo studio guidato dall’Università Martin Luther di Halle-Wittenberg (MLU) e dall’Università di Bologna, ed ha visto partecipare anche l’Università di Siena che ha contribuito con dati di vegetazione editi ed inediti. I risultati sovvertono presupposti precedenti in ecologia. Lo studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, offre spunti significativi per la conservazione della natura.
Per l’Ateneo sono stati coinvolti nello studio il dottor Gianmaria Bonari e il dottor Hamid Gholizadeh del gruppo di lavoro di Scienza della vegetazione del Dipartimento di Scienze della Vita.
“Finora, gli scienziati hanno ipotizzato che, in un ecosistema, esista una correlazione positiva tra i tratti funzionali delle piante, come l’altezza o la struttura delle foglie, e la loro diversità filogenetica. In altre parole, più le specie sono lontanamente imparentate, più i loro tratti funzionali dovrebbero differire”, spiega il professor Helge Bruelheide, geobotanico presso la MLU.
Il team di scienziati internazionali ha analizzato 1,7 milioni di rilievi provenienti dal database di vegetazione più ampio al mondo, sPlot. I ricercatori hanno combinato questi dati con una filogenesi globale di tutte le specie vegetali e il più grande database al mondo di tratti funzionali delle piante, TRY.
“Il risultato è stato sorprendente: abbiamo scoperto che non esiste una correlazione positiva tra diversità funzionale e filogenetica. Anzi, le due sono spesso negativamente correlate”, spiega Georg Hähn dell’Università di Bologna.
È interessante che oltre la metà delle aree analizzate presentasse una maggiore diversità funzionale rispetto a quella filogenetica. “Il nostro studio dimostra che le piante in molti ecosistemi svolgono compiti diversi, pur essendo strettamente imparentate. Questo ha importanti implicazioni per la conservazione della natura”, afferma Gianmaria Bonari, ricercatore di Botanica dell’Università di Siena e coautore dello studio.
Un ecosistema potrebbe quindi essere vulnerabile ai cambiamenti climatici se presenta un numero insufficiente di specie funzionalmente diversificate o una carenza di diversità evolutiva. “Pertanto, una protezione ambientale efficace non significa semplicemente proteggere i siti più ricchi di specie. Invece, bisogna considerare sia la diversità funzionale che quella filogenetica”, spiega Bruelheide.