Ai Rozzi un'opera audace e profonda, che unisce stili e linguaggi diversi
di Giulia Tacchetti
SIENA. Semplicità e profondità, queste le caratteristiche della “Storia del Soldato” di Stravinskij, ieri sul palcoscenico del Teatro dei Rozzi, che ha conquistato il pubblico presente. Opera audace e profonda, che unisce stili e linguaggi diversi; musica, teatro e danza. Le influenze della musica jazz in un grande artista come Stravinskij, i cambiamenti del mondo dovuti alla rivoluzione russa ed alla Prima Guerra Mondiale sono i motori di questa opera così innovativa e, quindi, rappresentativa del XX secolo.
La rivoluzione russa del 1917 porta Stravinskij dalla Russia alla Svizzera, dove entra in contatto con artisti che devono affrontare le stesse difficoltà, soprattutto quelle economiche. Con lo scrittore Ramuz nasce l’idea di creare un’opera teatrale ambulante (un precedente può essere la nostra commedia dell’arte), in modo da raggiungere le varie località della Svizzera con un piccolo teatro da trasportare con facilità. E’ necessario attirare il pubblico meno colto dei villaggi, per questo si ispira ad una raccolta di fiabe popolari russe, pensando ad una storia accompagnata dal ballo e dalla recitazione.
Non si tratta di una vera opera, perché manca il canto; la priorità viene data alla parte raccontata, in poesia e prosa, accompagnata dalla musica. Questa prevede una piccola formazione di sette strumenti (clarinetto, fagotto, cornetta o tromba, trombone, violino, contrabbasso e percussioni), che richiama l’organico delle bande jazz, in quanto la famiglia strumentale è rappresentata nei suoi estremi, dal registro acuto a quello basso. Inoltre ben si adatta ad una rappresentazione itinerante, alle difficoltà economiche e logistiche generate dalla guerra. Il risultato è un insieme di brani, che mescolano influenze del jazz, ognuno con il suo carattere: marcia, tango, valzer, rag-time.
La Storia del Soldato richiama quella del Faust di Goethe, in quanto ritroviamo il tema del desiderio, dell’inganno, della vendita dell’anima al diavolo, così si conclude l’opera. Temi universali ancora oggi oggetto di approfondimento e di riflessione, che sottolineano la modernità di ciò che viene raccontato. Spiega la regista Paola Benocci: “Abbiamo immaginato che l’oggetto magico, che nella storia originale è rappresentato da un libro, sia uno smartphone. Questo, pur nel rispetto della musica e della trama originali, ci permette di parlare di temi come i social network, l’invadenza del web ed il controllo sulle abitudini delle persone attraverso la tecnologia”. In forma laboratoriale l’opera è stata proposta nel 2023 ad alcune scuole superiori della provincia, all’interno del progetto “Regeneration Opera”. La risposta ricevuta è stata sorprendente e questo allestimento tiene presente le riflessioni scaturite dai ragazzi. Protagonisti dello spettacolo Vincenzo Bocciarelli, Enrico Costantini, Paola Benocci, anche regista, Nicole Perfigli del Balletto di Siena diretto da Marco Batti; l’orchestra da camera è quella di Amat con la direzione di Concetta Anastasi.
Emergono nella recitazione tutti i personaggi: narratore, Paola Benocci, soldato, Enrico Costantini, diavolo, Vincenzo Bocciarelli. L’interpretazione di quest’ultimo ci riporta ai grandi del Teatro, da Glauco Mauri a Streheler, di cui la Benocci è stata allieva. Ha veramente colpito la leggerezza della ballerina Nicole Perfigli, che , risvegliata dalla grave malattia dal violino del soldato, balla il tango e poi il valzer. Coinvolgente anche il ballo-combattimento tra il diavolo ed il soldato. La musica è veramente straordinaria nella sua modernità: si va, come già detto, dal tango argentino, al valzer, alle fanfare svizzere. In questa totale immersione musicale abbiamo avuto un richiamo inaspettato di un’altra grande musica, quella di Nino Rota, ammiratore di Stravinskij, conosciuto personalmente.