Gli errori del passato costringono a perseverare nell'ubbidienza
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di Red – foto di Corrado De Serio
SIENA. Che il nuovo statuto depotenzi l’assemblea e quindi la Fondazione se ne sono accorti tutti in Italia, tranne la Deputazione Amministratrice di Palazzo Sansedoni. Sarà che stiamo parlando di quel gruppo di signori che a suo tempo trovarono eccellente l’acquisto di Antonveneta, e recentemente, nel luglio 2011, trovarono cosa ottima far firmare le cambiali in bianco chiamate “covenant” al presidente Mancini e al provveditore Pieri, che hanno dato il colpo di grazia alle traballanti casse della Fondazione MPS. Chi sbaglia paga, dice il proverbio. Altrove e non certo a Siena, pensiamo, visto che nemmeno errori miliardari riescono a smuovere le coscienze dei nominati e a farli scendere dalle poltrone. Forse attraverseranno momenti di grande sofferenza psicologica per la gravità delle decisioni che sono chiamati a prendere; però l’insensatezza delle loro azioni, assieme alla ormai arcinota dichiarazione di Mancini di aver obbedito agli ordini, fa ritenere che continuino a obbedire a un disegno studiato altrove.
MPS è un titolo di scarso valore per il mercato, buono per fare un po’ di trading, approfittando della confusione che sollevano le varie componenti che girano intorno alla banca. Il capitale è in mano allo Stato e l’istituto è di fatto nazionalizzato; presto lo sarà anche di diritto, ma comunque sarà gestito dalle stesse componenti che l’hanno ridotto in questo stato pietoso. La lezione che viene da Siena è chiarissima: c’è un mondo politico/burocratico che tira le fila della governance nazionale e che ha deciso, nel 2007, di non lasciare Antonveneta nelle mani degli spagnoli. A Padova c’erano forse tante cose che non dovevano venir fuori (fin dai tempi di Sindona e Calvi, ndr) e carte che non si potevano lasciare in mano allo straniero. Che per ritirarsi ha ottenuto, con le armi della amicizia fra i governanti di sinistra di allora Prodi in Italia e Zapatero in Spagna, un lauto compenso (e se non andrà tutta la vicenda in prescrizione, ci dirà se nel passaggio di soldi ci sia stato effettivamente spazio per ricche bustarelle). In quel momento l’unica banca di un certo spessore in Italia che poteva procedere all’acquisizione era MPS e il suo management ha provveduto a eseguire gli ordini a tutti i livelli, compiendo numerose operazioni di dubbia regolarità formale e sostanziale. Con la copertura del mondo politico che aveva dato gli ordini, la Consob di Lamberto Cardia, il ministero del Tesoro del Direttore Generale Vittorio Grilli e la Banca d’Italia del Governatore Mario Draghi hanno dato il via libera all’operazione pur conoscendo i bilanci e la patrimonializzazione di MPS, che non consentivano un’operazione così onerosa come poi si è rivelata anche a chi non conosceva i numeri (perché loro lo sapevano benissimo, altrimenti che ci stavano a fare in quelle poltrone?). I 27 miliardi di BTp sono l’ovvia conseguenza della ricerca di un guadagno certo che la normale attività della banca non poteva assicurare. E i manager di Siena ai 10,1 miliardi di euro pagati per Antonveneta hanno aggiunto 2 miliardi di dividendi per la Fondazione, vendendo i gioielli di famiglia per finanziare il consenso e far credere al piccolo mondo antico cittadino che tutto andava bene. Come sempre da 500 anni a questa parte.
Solo i mercati non ci hanno creduto, penalizzando il titolo che in poco tempo ha perduto il 90% del suo valore. Tutto senza pensare alle conseguenze: ogni anno che passa avvicinava sempre di più le rigide regole di Basilea 3, le previsioni fosche sull’andamento dell’economia europea si materializzavano e la crisi strisciante azzerava ogni possibilità di guadagno. Bruciato in un amen l’ultimo aumento di capitale del 2011 – al quale Banca d’Italia doveva impedire alla Fondazione di partecipare, sapendo bene come stavano le cose – solo un atto politico poteva ora salvare MPS. Così è accaduto, che l’intervento dello Stato è un atto politico, riservato al Monte e non, per esempio, agli stabilimenti di Alcoa a Porto Torres. Come l’aver lasciato fallire Lehmann Brothers senza poi modificare le leggi finanziarie sul sistema bancario è l’accordo politico che ha facilitato l’arrivo di Obama alla presidenza degli USA e Wall Street nella condizione di continuare il gioco dei derivati e della finanza creativa fino ad oggi. Fantafinanza? Il ragioniere Mancini, che firmerà l’atto di presenza all’Assemblea Straordinaria in cui la Fondazione tirerà la cinghia di una esistenza di sperperi, è schiacciato da tanta consapevolezza e non ha modo di fermare il destino. Solo un popolo deciso senza nulla da perdere potrebbe fare il muro che impedisca lo svolgimento dell’assise in programma martedì. La volontà di non lasciarsi espropriare proprio da coloro che hanno mal gestito il bene pubblico. Perché ancora una volta non sono le regole ad essere sbagliate, ma i giocatori.