La giovane attivista valdelsana Viola Scalacci e l’idea di uno spazio urbano fluido e dinamico dove ogni cittadina e cittadino possa trovare la propria “casa”
COLLE DI VAL D’ELSA. Che cos’è una città femminista e come è possibile renderla tale? Lunedì 9 settembre, alle 21.30, in Area dibattiti alla Festa dell’Unità di Gracciano, a Colle di Val d’Elsa, ne parleranno quattro donne, approfondendo il tema al centro di un libro di Leslie Kern, docente e direttrice degli Studi sulle donne e sul genere alla Mount Allison University in Canada.
Sul palco saliranno la giovane assessora del Comune di Firenze Laura Sparavigna, con delega tra le altre a smart city e innovazione, Elisa Caruso, docente di urbanistica all’Università di Firenze, Viola Scalacci, giovane attivista valdelsana, e Susanna Cenni, sindaca neo eletta di Poggibonsi. La discussione sarà coordinata da Riccardo Vannetti, capogruppo Pd in consiglio comunale.
Uno dei concetti che ha contribuito a cambiare il paradigma femminista, è quello della intersezionalità, e si deve a Kimberlè Crenshaw, giurista statunitense che nel 1989 ha introdotto per la prima volta in un testo legale dei soggetti mai rappresentati prima, ovvero donne, nere e lavoratrici.
“Il concetto di intersezionalità – spiega Viola Scalacci – permette di considerare le persone nella complessità dell’identità che abitano. Per fare un esempio, possiamo pensare all’identità di genere, a quella di razza (termine mutuato dall’inglese “race”) e a quella di classe e a come queste tre identità si intersechino all’interno di una stessa persona: per rendere la cosa più concreta, io sono una persona socializzata donna, bianca, di famiglia abbastanza benestante. Queste tre identità, insieme a molte altre, si intersecano in me e definiscono i miei rapporti sociali, la quantità di oppressioni che subisco e di privilegi che esercito. L’identità di persona socializzata donna fa sì che io subisca delle oppressioni all’interno della società patriarcale, ma il fatto di essere bianca e benestante in una società capitalista e colonialista come quella in cui viviamo rappresenta invece un privilegio”.
Viola Scalacci, 29 anni, da lungo tempo è attiva in ambito femminista. Nel 2018 con una compagna di studi ha fondato la collettiva transfemminista Rea a Forlì, dove all’epoca frequentava l’Università. Dopo un anno vissuto a Bruxelles, ha avuto modo di approfondire la teoria femminista tramite i corsi seguiti al Vassar College di New York. Tutte queste esperienze le hanno permesso di guardare all’ambiente urbano in ottica femminista.
“Lo spazio cittadino – continua Viola – non è soltanto un luogo geografico o una forma architettonica, ma una vera e propria identità. Una volta lasciata la provincia da cui venivo per spostarmi nella grande città, centro di potere economico e culturale, mi sono immediatamente resa conto che la mia identità provinciale di persona proveniente dalla periferia e quindi dal margine non mi avrebbe mai del tutto abbandonato”.
La teoria femminista identifica due grandi sistemi che segnano la società in cui viviamo: il sistema patriarcale e quello capitalista che, a sua volta, si alimenta grazie al sistema colonialista.
“Questi sistemi sanciscono dinamiche di potere che si riflettono anche nell’architettura cittadina, nella costruzione delle città, modulate su un’idea umana molto ristretta. Le città sono costruite su misura del cittadino tipo, quello che storicamente occupa i centri nevralgici del potere: uomo, bianco, proprietario ed eteronormato. Questa è l’unica fetta umana che da sempre ha goduto a pieno dei propri diritti, subordinati in primo luogo al diritto di proprietà, quello che garantisce la possibilità di intervenire attivamente sul modello di città. Dall’altra parte, come racconta Martina Micciché in Femminismo di Periferia, ci sono alcune soggettività escluse e marginalizzate dal processo di costruzione delle città. Quali sono? Storicamente le donne, le persone migranti o non bianche, le persone con corpi non conformi (penso alle persone transessuali), le persone con disabilità e, ancora, coloro che non partecipano ai processi di consumo e iperconsumo (non proprietari, persone senza fissa dimora). Di fatto, i poveri”.
La mappa di una città non è uguale per tutti, quindi, ma cambia secondo l’identità di chi la abita.
“Per fare un esempio banale ma immediato, la mappa cittadina per una donna che si muove di notte, sarà molto diversa dalla mappa della stessa città per un uomo – aggiunge Viola Scalacci -. A Bruxelles, di notte, il mio coinquilino tornava a casa seguendo il percorso più breve, io in media impiegavo almeno 15 minuti in più, facendo attenzione a non passare da strade particolarmente buie, o prendere mezzi di trasporto pubblico dopo un certo orario. Le mie amiche facevano lo stesso. Questo dà la dimensione di come la mappa cittadina cambi a seconda della tua identità di genere. Se sei una persona con disabilità la mappa cittadina cambia ancora di più, non solo di notte ma anche di giorno, con aree della città che non saranno per te mai raggiungibili”.
“Il concetto d’intersezionalità – conclude l’attivista valdelsana – ci aiuta a capire come all’interno della città vengano esercitati diversi gradi di esclusione e marginalizzazione. Credo che utilizzare questo e altri concetti mutuati dalla teoria femminista sia fondamentale per ripensare lo spazio urbano non come qualcosa di strutturato attorno ad un unico tipo umano, ma come uno spazio fluido e dinamico e capace di adattarsi alle esigenze di chi lo abita, invece di chiedere a chi lo abita di adattarsi ad esso”.