Ricordi di un assessore rammaricato
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di Silvana Biasutti
SIENA. La prima cosa bella che mi veniva in mente era che mi trovavo nel luogo perfetto in cui convogliare idee e esperienze – le migliori e le più vibranti – che potevano dare alla città e alla terra in cui era immersa quella ‘spintarella’ che l’avrebbe messa al centro del futuro.
Avevo trovato un’apertura – così mi sembrava – una manifestazione per i libri per ragazzi, creata da un precedente assessore che evidentemente ci teneva; ma con un titolo troppo lungo e un po’ burocratico, e la prima cosa da fare era cambiarlo, prestandogli un pensiero che mi ha accompagnato nella vita: leggere e volare, perché leggere è volare, alla lettera. (E poi il nome giusto può cambiare il destino della cosa) …
Libri e leggerezza – intesa come lezione calviniana – avrebbero dato le ali a una città più legata alla croccante cartamoneta che alla carta – meno effimera – dei libri che ti trasportano fin dove ti lasci portare, o fino a dove riesci a lasciarti andare.
Del resto, nella terra capace di incantare tutti (meno uno), avevo portato anni prima un poeta cubano, Pablo Armando Fernandez, e ne avevo parlato con il grande Gabo – seduta sul divano bianco a casa sua in calle Fuego –, e perfino sollecitando la sua agente in tal senso, sperando, mica tanto segretamente, che ci venisse e ci lasciasse un’impronta, un racconto ancorché (magari) ramingo; (“ah el Pablo, ricordava Marquez, un hombre electrico, e giù una risata alla faccia del realismo magico”).
Pensavo che questa fosse terra di libri, ma in un’Italia già allora pervasa da fiere e festival, avevo anche pensato a qualcosa che proprio l’incarico che mi era appena stato affidato pareva rendere urgente (un’ineffabile coincidenza, insomma), un formato che mi veniva proprio dai “voli” fatti in anni precedenti, in immaginifici incontri con libri, autori, ma soprattutto con altri mondi meno vicini al libro, che sarebbero divenuti – nella mia immaginazione – il catalizzatore di un progetto unico e originale; qualcosa che avrebbe fatto volare Siena e la sua terra intorno al mondo e avrebbe attratto a Siena i meglio pensieri, per intrecciarli con quelli nostrali.
In anni seguenti, due pallidi tentativi – abitati però da autori come Markaris e Livaneli, e da intellettuali e scienziati più inclini al fare che al recitare la parte di utili idioti – tentativi peraltro sabotati con interessata miopia, mi avrebbero messa alle strette, confermandomi da una parte l’esattezza della visione che Garcia Marquez mi aveva instillato, quel pomeriggio nello studio di casa sua sul potenziale di questa terra, e allo stesso tempo sbattendomi in faccia l’impossibilità di convertire una città alla sua vocazione.
La campagna spesso aiuta a pensare, ma a volte dà un tocco di irrealtà ai ricordi e alle riflessioni.
Quando penso a quanto repentino sia stato il cambiamento, in questi luoghi nell’ultimo lustro, alla cecità della politica, di quasi tutti i suoi uomini e di quelli dei dintorni immediati, all’arretrare rispetto a ciò che si potrebbe fare tutt’ora – qui – quasi favoriti dalla crisi, se i libri avessero potuto esserci nel modo e con i protagonisti giusti e perciò indurre e introdurre altre idee e pensieri da mescolare con quello che il destino (e l’impegno di tanti uomini che sono venuti prima di noi)ha regalato ai luoghi, torno a rammaricarmi per non aver combattuto, non essere andata oltre gli occhi opachi con cui alcuni hanno ascoltato quello che cercavo di dire.
Il divano di Marquez mi ritorna in mente, quando vedo che Siena è entrata nella rosa delle candidature a capitale della cultura nel 2019, e penso (e mi auguro!) che probabilmente ce la farà, ma non per ciò che potrebbe mettere davvero in campo. Non perché sa volare, purtroppo.
SIENA. La prima cosa bella che mi veniva in mente era che mi trovavo nel luogo perfetto in cui convogliare idee e esperienze – le migliori e le più vibranti – che potevano dare alla città e alla terra in cui era immersa quella ‘spintarella’ che l’avrebbe messa al centro del futuro.
Avevo trovato un’apertura – così mi sembrava – una manifestazione per i libri per ragazzi, creata da un precedente assessore che evidentemente ci teneva; ma con un titolo troppo lungo e un po’ burocratico, e la prima cosa da fare era cambiarlo, prestandogli un pensiero che mi ha accompagnato nella vita: leggere e volare, perché leggere è volare, alla lettera. (E poi il nome giusto può cambiare il destino della cosa) …
Libri e leggerezza – intesa come lezione calviniana – avrebbero dato le ali a una città più legata alla croccante cartamoneta che alla carta – meno effimera – dei libri che ti trasportano fin dove ti lasci portare, o fino a dove riesci a lasciarti andare.
Del resto, nella terra capace di incantare tutti (meno uno), avevo portato anni prima un poeta cubano, Pablo Armando Fernandez, e ne avevo parlato con il grande Gabo – seduta sul divano bianco a casa sua in calle Fuego –, e perfino sollecitando la sua agente in tal senso, sperando, mica tanto segretamente, che ci venisse e ci lasciasse un’impronta, un racconto ancorché (magari) ramingo; (“ah el Pablo, ricordava Marquez, un hombre electrico, e giù una risata alla faccia del realismo magico”).
Pensavo che questa fosse terra di libri, ma in un’Italia già allora pervasa da fiere e festival, avevo anche pensato a qualcosa che proprio l’incarico che mi era appena stato affidato pareva rendere urgente (un’ineffabile coincidenza, insomma), un formato che mi veniva proprio dai “voli” fatti in anni precedenti, in immaginifici incontri con libri, autori, ma soprattutto con altri mondi meno vicini al libro, che sarebbero divenuti – nella mia immaginazione – il catalizzatore di un progetto unico e originale; qualcosa che avrebbe fatto volare Siena e la sua terra intorno al mondo e avrebbe attratto a Siena i meglio pensieri, per intrecciarli con quelli nostrali.
In anni seguenti, due pallidi tentativi – abitati però da autori come Markaris e Livaneli, e da intellettuali e scienziati più inclini al fare che al recitare la parte di utili idioti – tentativi peraltro sabotati con interessata miopia, mi avrebbero messa alle strette, confermandomi da una parte l’esattezza della visione che Garcia Marquez mi aveva instillato, quel pomeriggio nello studio di casa sua sul potenziale di questa terra, e allo stesso tempo sbattendomi in faccia l’impossibilità di convertire una città alla sua vocazione.
La campagna spesso aiuta a pensare, ma a volte dà un tocco di irrealtà ai ricordi e alle riflessioni.
Quando penso a quanto repentino sia stato il cambiamento, in questi luoghi nell’ultimo lustro, alla cecità della politica, di quasi tutti i suoi uomini e di quelli dei dintorni immediati, all’arretrare rispetto a ciò che si potrebbe fare tutt’ora – qui – quasi favoriti dalla crisi, se i libri avessero potuto esserci nel modo e con i protagonisti giusti e perciò indurre e introdurre altre idee e pensieri da mescolare con quello che il destino (e l’impegno di tanti uomini che sono venuti prima di noi)ha regalato ai luoghi, torno a rammaricarmi per non aver combattuto, non essere andata oltre gli occhi opachi con cui alcuni hanno ascoltato quello che cercavo di dire.
Il divano di Marquez mi ritorna in mente, quando vedo che Siena è entrata nella rosa delle candidature a capitale della cultura nel 2019, e penso (e mi auguro!) che probabilmente ce la farà, ma non per ciò che potrebbe mettere davvero in campo. Non perché sa volare, purtroppo.