Profumo in Fortezza dice e non dice
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di Red – foto di Riccardo Guardabasso
SIENA. Alla fine del dibattito i più soddisfatti erano i vecchi e nuovi dirigenti del Pd senese: il compagno Profumo aveva svolto bene il suo compito. Le responsabilità del partito nella gestione degli ultimi 5 anni di storia senese erano state dimenticate dal popolo che aveva soddisfatto la sua sete di sangue grazie alle ammissioni del presidente MPS a denti stretti e mezze parole. Antonveneta a lui, quando era capo di Unicredit, l’avevano offerta a un prezzo più basso di quello pagato dal Monte di Mussari e Vigni a Emilio Botin, ma aveva detto di no: non ci aveva visto l’affare, fra l’altro aveva appena comprato Capitalia. Una tra le tante perle è stata la spiegazione “interna” della crisi di Rocca Salimbeni. Per Profumo non l’acquisizione di Antonveneta. Piuttosto l’aver messo in portafoglio 27 miliardi di titoli di Stato che rendevano un miliardo l’anno “con il quale il vecchio CdA vi pagava il Vap”.
Lette le critiche dei giorni passati, alla festa del Pd hanno capito che il dibattito con la partecipazione di Alessandro Profumo aveva diritto a una qualità superiore. Infatti gli astanti si sono ritrovati un professionale Cesare Peruzzi de Il Sole 24 Ore come moderatore. L’ex sindaco fiorentino Domenici, ora europarlamentare, ha detto cose interessanti, ma il pubblico era lì per ascoltare e criticare sul Monte e non sullo scenario politico e finaziario europeo, e suo malgrado è passato inosservato.
Profumo ha dichiarato che sta andando alla caccia della senesità della banca, perduta attraverso gli errori (e gli orrori) della Fondazione che, in un modo o nell’altro, è l’espressione della cittadinanza. Una parte del pubblico rumoreggiava chiedendo la testa del Mussari. L’averla ottenuta ha permesso a Profumo di glissare e non rispondere a domande ben più ficcanti, compresa quella sui rapporti con l’ex sindaco Ceccuzzi e la richiesta di rendere pubblico il contratto d’acquisto di Antonveneta. Aveva già dato alla platea, annunciando di aver riservato al proprio CdA la verifica del fatto se vi sia dolo o umano errore nell’acquisto della banca padovana ed eventualmente procedere a complesse procedure di “azioni di responsabilità”, un bellissimo antipasto. Ma non succederà nulla, gli anni passano, le prescrizioni pure. Profumo tirerà dritto per la sua strada e farà i 600 milioni di risparmi che ha scritto nel Piano Industriale, con accordi o senza. I 100 dirigenti saranno licenziati con calma (c’è tempo fino al 2015, lo dice il Piano). Le consulenze? non ricorda a quanto ammontano. Grave per un presidente così volitivo non ricordarle tutte le cose…
Facile rilevare che i titoli di Stato furono acquistati proprio per colpa dell’affare Antonveneta. Pieni come erano di questi nuovi debiti, gli amministratori piddini della congrega banca-città chiedevano comunque a Vigni gli utili copiosi che Mussari aveva predetto incautamente: c’era da alimentare il consenso! E in quel momento solo i BTp decennali potevano soddisfare il fabbisogno della macchina del consenso. C’era il Vap, va bene; c’era però da creare posti nei consigli di amministrazione delle partecipate di banca, comune e provincia per piazzare gli amici. C’era da alimentare quei carrozzoni come il Museo delle Papesse o il SMS, che non hanno mai spiccato il volo verso gestioni autosufficienti. C’erano Siena Biotech, il calcio e il basket, ma solo per farsi belli e fare il pieno di consensi; c’erano i mille rivoli delle erogazioni della Fondazione. E ci fermiamo qui.