Mancini non si dimetterà, per non lasciare la vittoria finale agli avversari nel suo partito
di Red
SIENA. Il ritorno a Siena del deputato Franco Ceccuzzi ha portato nel giro di appena un anno il Pd locale a una guerra intestina fino a q1ualche mese fa assolutamente inimmaginabile, dai risvolti imprevedibili, vista l’aria di unanimità che si respirava nel partito e nelle sezioni, almeno apparentemente, da molto tempo. E così, osservando il patatrac, molti commentatori finanziari stanno comprendendo come l’idea che la proprietà del Monte dei Paschi fosse altrove e solo formalmente nelle mani della città fosse tutt’altro che peregrina.
La decisione, presa a maggioranza, di agire contro i “dissidenti” in consiglio comunale e la richiesta del Pd provinciale di una “azione di responsabilità” che inducesse Mancini a liberare lo scranno di presidente della Fondazione erano gli ultimi passi rimasti alla componente ex-Ds per vincere la partita completamente. Che le responsabilità del ragioniere di S. Gimignano ci siano nel dissesto senese è un’altra di quelle evidenze inoppugnabili, a cui Mancini ha risposto solamente affermando di “aver ubbidito agli ordini”. Tuttavia le sue dimissioni oggi sarebbero di fatto l’ultimo atto per rendere definitiva la “dipartita” del Monte dalla città.
Venerdì scorso, a margine della presentazione del bilancio della Finanziaria senese di sviluppo (Fises), il presidente non ha risposto ai cronisti che gli chiedevano una replica; ma perché dovrebbe farlo visto che il suo principale referente, l’ex sindaco Ceccuzzi, pur di vincere la partita delle nomine ha dovuto dimettersi a sua volta? La pressione forte non esiste più e improvvisamente Gabriello Mancini è rimasto, suo malgrado, l’ultimo baluardo della senesità del Monte. Tipico esempio di come interessi personali e di gruppo possano, in modo del tutto casuale e quasi a sorpresa delle parti in causa, coincidere con quelli della comunità di riferimento. Il prefetto Laudanna, che proviene da Perugia, è certamente gradito agli ex-Ds: nominato da un governo tecnico, per di più, che non ha interesse a spostare l’ago della bilancia politica nazionale.
Le dimissioni di Mancini aprirebbero un percorso che porterebbe la Deputazione a scegliere un nuovo presidente. E non si può sapere in quale direzione – ora come ora – sarebbe sbilanciata. Resistendo alle pressioni, Mancini ha allungato la sua vita politica di un altro anno, il suo successore sarà nominato dalla maggioranza che uscirà dalle urne alle prossime elezioni locali, forse avrà lasciato un’ultima chance ai cittadini. Toccherà alla città di Siena prendere consapevolezza della situazione e scegliere per il proprio futuro: perchè i Ds sono certi di essersi riappropriati della banca, per cui perdere dopo così tanti anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale la presa politica sulla città, sarà sicuramente il male minore, di fronte al dramma che si sta vivendo oggi all’interno dei pilastri della città.