Dal suo studio una mostra fotografica che da Ranza andrà nelle sedi Unisi
SIENA. Gioia ed emozione nella Casa di Reclusione di San Gimignano dove venerdì scorso uno studente del Polo Universitario Penitenziario dell’Università di Siena ha conseguito la laurea magistrale in Scienze internazionali. La sua tesi, intitolata “La foto che parla. Auto-etnografia visuale all’interno del carcere di San Gimignano”, è stata brillantemente discussa dinanzi a una commissione composta dai professori: Gerardo Nicolosi (presidente), Lorenzo Nasi, relatore della tesi, Fabio Mugnaini, correlatore, Massimo Bianchi e Gianluca Navone.
Al termine della discussione alcuni detenuti che seguono il corso di cucina all’interno della Casa di Reclusione hanno voluto partecipare al momento di festa preparando un rinfresco molto apprezzato dai presenti e dai familiari del neolaureato.
Per l’elaborazione della tesi il laureando era stato eccezionalmente autorizzato a scattare fotografie all’interno del carcere di massima sicurezza: piccoli oggetti della vita quotidiana e particolari dei luoghi della detenzione sono stati i soggetti prevalentemente ritratti. Il materiale fotografico raccolto è stato utilizzato per la realizzazione di una mostra, inaugurata lo scorso 30 settembre in occasione della giornata conclusiva del Bright-Night 2023, durante un evento tenuto presso la Fortezza Medicea di Siena, alla presenza del rettore Roberto Di Pietra. Nei prossimi mesi la mostra sarà esposta presso le sedi universitarie.
Un lavoro di ricerca coordinato dal professor Lorenzo Nasi, relatore della tesi, che si è sviluppato proprio all’interno degli spazi e dei tempi che caratterizzano la vita penitenziaria, con le sue limitazioni, le sue dinamiche, le sue strategie.
«Una tesi di ricerca sperimentale e innovativa – spiega il professor Lorenzo Nasi – nel senso che per la prima volta, grazie all’autorizzazione concessa dalla Direzione dell’Istituto penitenziario, alla disponibilità dei funzionari e di tutto il personale di sicurezza, lo studente ha realizzato un percorso di elaborazione fotografica della propria esperienza in carcere, scattando una serie di fotografie, come dati visuali in grado di poter spiegare e comprendere una realtà complessa come quella del carcere. Una sorta di auto-etnografia, attraverso la quale, nella sua duplice veste di narratore e protagonista della storia, di osservatore e osservato, lo studente ha ripercorso visualmente la propria esperienza, intraprendendo un lavoro di scrittura e narrazione visiva tra introspezione e analisi, mirato alla comprensione del proprio quotidiano e del proprio Sé, tra strategie di adattamento e resistenza. Tutto il percorso dello studente è la dimostrazione del ruolo fondamentale che ricoprono l’educazione e la formazione come agenti di riabilitazione e strumenti di resistenza in un contesto come quello carcerario e del grande lavoro del Polo Universitario penitenziario».