Se il titolo continua a salire in borsa, il futuro diventa appena appena più roseo per Siena
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di Red
SIENA. Nell’ottobre 2010 si era sparsa la voce che MPS avesse intenzione di vendere il suo 59% detenuto in Biverbanca (che aveva acquisito al prezzo di 700 milioni di euro). La nota di Rocca Salimbeni smentì il tutto seccamente, ricordando di aver appena trasferito sotto il controllo di Biella 13 filiali della Antonveneta. Le banche che potevano essere interessate all’acquisizione furono identificate in Carige e Veneto Banca. E Genova e il Veneto stanno ritornando di attualità proprio in questi giorni. Carige ha appena deliberato un aumento di capitale, ufficialmente per rimpolpare il Core Tier 1 sui parametri europei, anche se non obbligata dall’Eba in quanto banca “non sistemica”. La cessione di Biverbanca a Carige potrebbe tornare di attualità, visto che l’affare sfumato un anno e mezzo fa è sempre possibile e conveniente per la “taglia” dell’istituto bancario genovese, che non ama i passi troppo lunghi. Come non li ama la sua omonima Fondazione, l’unica rimasta in Italia (purtroppo per noi) ad avere il 49% delle azioni della banca di origine.
Ma secondo Carlo Festa de Il Sole 24 Ore, per rimanere nel capoluogo ligure, “ad avere ricevuto da qualche giorno il dossier MPS è stata anche la famiglia Malacalza, una delle holding italiane più liquide, già soci di Marco Tronchetti Provera in Camfin e Gpi. La famiglia starebbe ancora studiando il dossier, ma non avrebbe ancora preso una decisione al riguardo”. Certo che le RICERCHE DI INVESTITORI degli advisor Rothschild e Mediobanca si stanno facendo forti e frenetiche in giro per l’Italia. Si dice che sia stato offerto l’ingresso nell’azionariato del Monte anche ai Benetton e agli Amenduni in Veneto, a Ferragamo, a Vincenzo Micheli fra gli altri. La volontà a Siena sarebbe quella di fare uno spezzatino del 15% in vendita tale da non trovarsi in casa un azionista di minoranza forte, capace di coagulare intorno a se una maggioranza che scuoterebbe i poteri forti della città del Palio.
Tutto campato in aria, per adesso, in attesa che i due gruppi contrapposti che si contendono “dentro” Fondazione e Banca stabiliscano vincitori e vinti. O, semplicemente, tregue concordate. Non c’è molto tempo: la scadenza fondamentale dei creditori è il prossimo 15 marzo, e la risalita in borsa del titolo, se continua, toglie molta capacità di guadagno e margine di imposizione ai creditori che per questo non possono offrire sconti.
E qui ritorniamo ai fondi Equinox e Clessidra e alla questione “politica” che pare vi sia celata. Il partito, diciamo, della ex-Margherita pare appoggi l’offerta di Equinox: Salvatore Mancuso vorrebbe una partecipazione di minoranza che frutti bei soldini ai suoi investitori nella società lussemburghese, tra cui spicca Intesa. Ma i suoi rapporti con Alessandro Profumo, visti i trascorsi, pare non siano particolarmente incoraggianti, al punto che questi non lo vorrebbe alla presidenza del Monte. Tuttavia rifiutare l’arrivo di un tale manager allontanerebbe da Siena l’interesse di altri validi manager, ma al tempo stesso potrebbe rendere interessante (indispensabile?) la conferma di Mussari per un altro triennio (presidente di prestigio, in fin dei conti nessuno mette in dubbio che sarà il presidente dell’Abi per altri due anni), così che nel 2013 questa componente del PD possa gestire in posizione di forza il rinnovo della Deputazione in Fondazione.
Ma l’altro partito, diciamo ex-DS, non sta a guardare. Il sindaco di Siena aveva già dimissionato Mussari, mettendogli in bocca la volontà di non rimanere in Rocca Salimbeni. Avrebbe mandato i suoi uomini in avanscoperta facendo filtrare il nome di Profumo fino a che tutta la stampa nazionale, riprendendo l’indiscrezione, ne ha sancito l’arrivo a Siena: ma ovviamente non c’è nulla di scritto. Un sindaco non parla di società quotate in borsa, figuriamoci se agisce per influenzarne la scelta del management!
Il nome del manager ex-Unicredit infatti a Clessidra va proprio bene, e non esprime una opinione su Mussari, lasciando da parte la questione “discontinuità”. Ma il gruppo di Claudio Sposito, fondo con una dotazione, secondo Festa, di 1,4 miliardi di euro, potrebbe rivelarsi un socio “troppo forte” ai prezzi attuali di borsa per i due contendenti senesi: patti chiari e amicizia lunga, ma si sa che la finanza è un mondo da lupi, come ben ha scoperto Gabriello Mancini con il covenant. In medio stat virtus.
Ancora si dice che con un “confidentially agreement” i due fondi di private equity starebbero trattando di dividersi la torta del 15% in modo da non dover chiedere l’autorizzazione della Banca d’Italia all’operazione, impiccio tecnico che necessita di 60 giorni per essere superato: ma il nome del presidente dell’istituto di credito è ancora in alto mare.
Però con un accordo veloce i due fondi potrebbero presentare così la loro lista all’assemblea che nominerà il nuovo Cda il prossimo 27 aprile.
La situazione potrebbe complicarsi, positivamente stavolta, per il Monte dei Paschi. Come avevamo previsto in tempi non sospetti, la valutazione dell’Eba, così clamorosamente nefasta in ottobre 2011 con la richiesta di un “buffer temporaneo” da 3,267 miliardi di euro, era un bluff.
Le riunioni di inizio febbraio hanno stabilito che FORSE non è più necessario. La discesa costante e significativa dello spread intorno a 350 punti base, con la prospettiva che l’accordo tra la Grecia e l’Eurogruppo diventi reale, significa che i 25 e passa miliardi di titoli di stato italiani nel portafoglio MPS non sono più pericolosi perché non generano più le grosse minusvalenze teoriche di ottobre. Quindi rendendo inutile il bisogno dell’aumento di capitale.
E se poi il titolo ritornasse al valore che aveva al momento dell’ultimo pernicioso aumento di capitale (0,44 euro) davvero la rinegoziazione del debito per la Fondazione MPS sarebbe cosa più tranquilla: alle 11:20 del 22 febbraio 2011 il titolo fa +6,01% a euro 0,4164. Diciamo sempre che non commentiamo durante le contrattazioni: la borsa è per natura ballerina, ma il trend di fondo sembra consolidato.
Le agenzie di rating staranno buone e zitte ancora per diversi giorni; i fondi che dovevano fare i loro affari hanno acquistato e ora spingono per la rivalutazione del titolo, visto che a fine anno dovranno portare utili ai loro investitori.