SIENA. L’Accademia Musicale Chigiana con il suo direttore artistico Nicola Sani esprime il più sentito cordoglio per la scomparsa del compositore Fausto Razzi, fra i maggiori esponenti della generazione di compositori italiani del secondo dopoguerra.
Razzi ha sviluppato la sua ricerca artistica su due linee indagando in profondità allo stesso tempo le interazioni fra musica e parola poetica, attraverso e in combinazione con altri media, e le possibilità espressive delle sonorità elettroniche. L’insieme dei suoi interessi, che hanno trovato espressione anche attraverso la scrittura saggistica (Musica/Realtà, Early Music, Rinascita, Nuova Rivista Musicale Italiana) e l’insegnamento della composizione presso i Conservatori dell’Aquila e di Pesaro, ha contribuito a delineare una cifra stilistica che ha segnato coerentemente il suo intero percorso artistico.
Allievo di Goffredo Petrassi, con cui si è perfezionato diplomandosi all’Accademia di Santa Cecilia nel 1963, Razzi ha saputo coniugare il rigore e lo slancio verso l’innovazione della stagione del serialismo con un linguaggio più semplice e aperto, interessato ad una relazione viva e presente con l’ascoltatore.
Primo compositore italiano a realizzare una partitura con il computer (Progetto per una composizione elettronica, 1970-1973, con la collaborazione di E. Chiarucci alla Facoltà di Fisica dell’Università di Napoli), ha poi proseguito nell’esplorare le risorse compositive offerte dall’elettroacustica fino al suo ultimo lavoro completamente elettronico Sinfonia in Re (2009).
D’altra parte, l’interesse per le relazioni fra l’articolazione della parola e le forme musicali, se da una parte lo ha portato a rivolgere le sue ricerche sull’alba della modernità musicale, dall’altra ha favorito il suo incontro con la poesia contemporanea. Nel 1976 Razzi ha fondato il Gruppo Recitar Cantando, con cui ha realizzato diverse esecuzioni e registrazioni di musiche vocali rinascimentali e barocche, fra cui la registrazione dei rari dialoghi a tre voci dall’Eneide di Domenico Mazzocchi, 1638, e la prima esecuzioni in tempi moderni de La morte di Orfeo di Stefano Landi alla Sagra Musicale Umbra del 1990. Al di là del versante di ricerca sulla musica antica, invece, dopo una prima fase creativa con le Tre poesie di Henri Michaux (1959), la cantata Die helle Stimme (1962-63), Tre pezzi sacri per coro (1963-64), Improvvisazione II (1965-66) e Improvvisazione III (1967), nei primi anni Ottanta Razzi è tornato a lavorare sul suono e il verso con Frammento (su testi di Pier Paolo Pasolini e Torquato Tasso, del 1981) e poi con le composizioni su testi di Alfonso Gatto: A voi che lavorate sulla terra (1982), Che nulla sia dissolto (1983), Non venga la notte (1984). Ma la relazione più importante è forse quella con Edoardo Sanguineti, che lo spinge a mettere in relazione la composizione musicale con le “Azioni Sceniche”: Protocolli (1989-92), Smorfie (1997) e Incastro (2002), e altri lavori multimediali come Dialoghi (2004), della regista Federica Altieri.
I lavori di Fausto Razzi, che spaziano dalla musica da camera alle composizioni per orchestra, fino alla musica acusmatica, sono stati eseguiti nei festival di Donaueschingen, Freiburg, Gaudeamus, SIMC (Stoccolma e Varsavia), Praga, Bourges e Lyon, Biennale di Venezia, Sagra Musicale Umbra, Accademia di Santa Cecilia, Nuova Consonanza, Spaziomusica di Cagliari, Festival Pontin.
Importante la sua presenza nelle attività dell’Accademia Musicale Chigiana nel 1980, con la realizzazione al Teatro dei Rinnovati nel quadro della 73° Settimana Musicale Senese de La Rappresentatione di Anima et di Corpo di Emilio de’Cavalieri, per la regia di Sylvano Bussotti e la direzione al clavicembalo dello stesso Fausto Razzi. Una sua dotta relazione sui i criteri di lettura e di rappresentazione dell’opera barocca è pubblicata nel numero XXXVII della rivista “Chigiana” (1985, pp. 300-309), in cui Razzi esprime il suo lucido punto di vista sui problemi connaturati all’esecuzione della musica vocale per la scena scritta fra Cinque e Seicento, invocando una maggiore naturalezza nel seguire l’andamento del testo poetico, pur senza perdere di vista l’interpretazione della scrittura musicale a cui all’epoca ci si era maggiormente dedicati: «la sottovalutazione della realtà drammatica di testi che vivono solo a patto di ricreare quella compenetrazione fra parola e musica, tra ritmo poetico e ritmo musicale, che è alla base dell’operazione compositiva, rischia di presentare una struttura vista nella sola angolazione musicale, e per di più secondo un’idea di musicologia intesa come arida archeologia. Cosa che avviene abbastanza puntualmente, con il risultato di letture rigidamente inquadrate nel criterio della immodificabilità del parametro delle durate: e lo sganciarsi da questa interpretazione – per seguire, si badi bene, le prescrizioni degli autori e dei teorici dell’epoca – viene addirittura visto come un falso stilistico, quasi che la sensibilità del momento di trapasso dal Rinascimento al Barocco debba necessariamente collegarsi con il concetto di immobilità e di noia».