Lo scrittore ieri protagonista di Lunedilibri dove ha presentato la sua ultima opera
Lucio Villari, docente di Storia Contemporane all’Università di Roma Tre, è stato ieri pomeriggio il protagonista del quarto appuntamento di Lunedilibri. Nella Biblioteca Comunale degli Intronati, il docente ha parlato del suo ultimo lavoro “Bella e Perduta. L’Italia del Risorgimento”.
In un salone gremito lo storico ha fatto il punto su alcuni aspetti cardine del Risorgimento. Partendo dall’analisi dei cambiamenti introdotti, nel nostro Paese, dalla Rivoluzione Francese: uguaglianza, riconoscimento dei diritti dell’uomo, giustizia e libertà, fino ad arrivare alla breccia di Porta Pia. E ancora oltre, con comparazioni con l’attuale momento storico. Dalle sue parole un’appassionante rievocazione dell’epoca, presentata come una passione collettiva innescata dai giovani. “La favola bella di un tempo non lontano, quando i protagonisti erano quasi tutti giovani”.
“Sì, perché senza l’impeto giovanile – ha evidenziato – il Paese non sarebbe risorto a nuova vita”. Lo stesso Napoleone, ventiseienne, “portava con sé i germi della Rivoluzione Francese, anche se non era un rivoluzionario”. Al contempo “una “lettura” equilibrata, come ha commentato il collega Marcello Flores d’Arcais, capace di approfondire il tema al centro della sua ricerca”.
Villari, infatti, è riuscito, con scrittura affascinante, a intrecciare il racconto della politica a quello della cultura: musica, poesia, letteratura e pittura, per far comprendere come il Risorgimento sia stato animato da tanti aspetti che, poi, hanno trovato un unico obiettivo da raggiungere: quello dell’unità nazionale. Citando il Manzoni fa notare come, nel suo lavoro, al pari delle lotte che verranno dopo, già ci siano messaggi chiari per quell’idea di nazione: “liberi non sarem se non siamo uni” si legge nell’ode Marzo 1821, dove il concetto di giustizia è forte e indispensabile per governare gli uomini nell’esercizio della propria libertà. Così avverrà anche nella musica. Ne è un esempio l’opera di Verdi, dove l’inserimento dei cori nei melodrammi rappresenta la voce del popolo. Un’indicazione, questa, ricevuta da Mazzini e sempre rispettata dal grande compositore. Lo stesso nella pittura, ad opera di artisti come Hayez.
Quindi, come ha più volte ribadito Villari, il fuoco del Risorgimento non è stato acceso solo dalla borghesia. A fianco di giovani studenti e intellettuali, il popolo, tutto, ha fatto la sua parte. Donne rimaste alla storia come la nobile Cristina Belgiojoso, in prima linea nell’insurrezione romana; la stessa Anita, incinta, al fianco di Garibaldi che, tra i suoi Mille, ha la moglie di Francesco Crispi, arruolatasi nascondendo la sua femminilità. Ma insieme a loro tantissime altre, impegnate all’interno di circoli letterari per cultura e retaggio familiare, o, semplicemente, donne che si riconoscevano nel pensiero risorgimentale, e, insieme a loro, a tanti altri giovanissimi, anche bambini.
Dalla lettura di Bella e perduta, un affresco complesso, dunque, dal quale emerge l’importanza dei festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità, non solo per rispolverare una storia non conosciuta interamente perché non insegnata appieno, ma, anche, perché come ha sostenuto lo scrittore da molti travisata. “Il Risorgimento non è stato un complotto, come sostiene Umberto Eco. E l’Italia non è un Paese diviso, come sostengono i parlamentari della Lega. Lo dimostra il consenso che sta ricevendo l’anniversario che stiamo festeggiando”.
Una grande lezione, dagli italiani di un secolo e mezzo fa, divisi, magari, su considerazioni politiche, come era tra Cavour, Cattaneo, Mazzini e Garibaldi, ma determinati nel convergere verso un unico risultato: unire un Paese diviso in sette parti, battere il potere politico temporale della Chiesa.