di Andrea Pagliantini
CASTELNUOVO BERARDENGA. Per vedere come cambia celermente conformazione il paesaggio agricolo della Berardenga, basta salire sul promontorio di Sesta, da dove lo sguardo si perde nella sinuosità delle Crete, fin nel profilo del volto di donna etrusca che guarda al cielo, steso sulla cima dell’Amiata.
L’agricoltura industriale del vino non ha l’ampio mantello della Madonna della Misericordia sotto cui ci si può riporre e proteggere nelle difficoltà dell’andare. L’agricoltura industriale del vino ha ingranaggi che emettono e stritolano numeri a dispetto di avversità del clima e stagioni che caratterizzano da sempre l’unicità stagionale di un prodotto della terra.
L’ulivo è il parente povero dell’industria del vino: prima lo si trascura, poi lo si abbandona, si lascia il mercato dell’olio alla scarsa qualità aggressiva dei paesi intorno, poi si espiantano ettari e centinaia di piante di un oliveta specializzata e le si rimpiazza con delle viti in una nuova vigna, che – per clima, esposizione e terreno – darà vita a un vino muscoloso, che avrà ben poco da dire.
Intanto si smonta e si manomette il paesaggio, facendo in modo che la colomba dell’arca di Noè nel Chianti o nella Berardenga dovrà
convertire il ramoscello d’ulivo nel becco a un tralcio di rovo o di vite.