di Gianni Basi
SIENA. La sera di sabato scorso 21 giugno, primo giorno di un’estate finalmente votata al caldo e anche fin troppo, dal Baltico al Mediterraneo accadeva un fatto insolito. Nelle città, nei paesi, ovunque, si suonava cantava e ballava. Per il secondo anno consecutivo questa “Festa Europea della Musica” consacrava la stragrande voglia di fuga dalla routine che dorme in ognuno di noi.
A Siena, ad ogni angolo, c’erano note vaganti che si confondevano le une con le altre: un piacere passare da un madrigale a un coro, da un’orchestra classica al samba, dal jazz al rock, alle bande, alle cornamuse. Tutti, ma proprio tutti, in balìa di suoni diversi che sarebbero stati uno solo se, da una collina, ci si fosse affacciati sulla città in musica, accorgendosi che tutto questo non era il solito spot televisivo.
Ha ragione il direttore artistico chigiano, Aldo Bennici, quando parla di musica in grado di unire, di musica in grado di affratellare i popoli. Cos’altro può farlo, e soprattutto in modo così pacifico, festoso, sereno? E quale altra scintilla, se non la musica, ha una forza così grande da scatenare l’amore? Non è mai ovvietà ribadirlo. Non ci fosse, saremmo tutti un po’ musoni, senza quel nettare speciale che nutre e corrobora quella cosina impalpabile che abbiamo dentro, l’unica immateriale, l’unica che ci innalza come se i piedi non toccassero terra.
Pensare che a certe culture, per farlo, è bastata una musica poverissima. Un flauto di canna, timpani di pelle di capra, dei piatti in rame, corde di budello, tamburi. Erano, e sono, i dervishi d’oriente. L’anima però, loro non la lasciano risvegliare quando capita capita: in un certo modo la realizzano “vivendola”, come fosse un organo del corpo. Prendiamo gli altri generi di musica: quando vi si è trascinati, “ci si perde dietro”; per i dervishi invece ogni istante resta sotto controllo ed ogni riflesso che ne deriva è scandito dai movimenti e dalla danza. Il risultato di ciò è un tracciato di spiritualità totale che, da millenni, riesce ad elevare l’uomo da quella sua quotidianità perennemente distratta e solo stupefatta della creazione, avvicinandolo alla comprensione e all’intima rivelazione del Dio.
Il fenomeno dei dervishi, nato dalla saggezza e dal misticismo Sufi, rappresenta di questa corrente religiosa la costola più ascetica. Ma lungi dal pensare che ciò si risolva in un rito fanatico e noioso a vedersi. Tutt’altro. I dervishi, pur a volte immobili nella fissità dei gesti di concentrazione, d’improvviso volteggiano e ruotano freneticamente al suono dei loro strumenti. Avvolti in tuniche bianche drappeggiate di toppe a colori sgargianti, fanno di queste evoluzioni un veicolo vitale di meditazione profonda e destano in chi guarda emozioni spettacolari, avvincenti, celestiali.
L’Accademia Chigiana ha scelto quest’anno di condurci per mano su terreni musicali sinora insondati, quelli per cui le sensazioni dello spirito non siano stimolate soltanto da un brano di Mozart o Mahler ma anche dalle tensioni umane più remote. Una voglia di capire le radici, di scoprire quanto la musica penetri e cosa porti ad essere, e a fare. Si è cominciato lunedì, in questo indagare a cui è stato dato il nome simbolico di “Ricerca del Divino” con una Messa particolare, quella di Rossini, giusto per partire da una forma di sacro a noi nota che poi, attraverso i canti etnici “sefarditi” ascoltati martedi, approdasse ad uno degli aspetti più antichi di trascendenza dell’anima.
Le danze dervishi, a cui gratuitamente si potrà assistere in Piazza Jacopo della Quercia alle 21,15 di venerdì, sono infatti la trasposizione rituale della filosofia Sufi, una delle più protese alla meditazione finalizzata alla ricerca di Dio. Sufi come custodi della purezza, Sufi come lana, l’unico indumento, di capra o montone, che questi umili religiosi musulmani indossavano nel medioevo vivendo in estrema povertà. I dervishi ne erano i danzatori, l’espressione “visiva” del tramite alato fra terra e cielo. L’esibizione in Piazza Jacopo della Quercia (o in caso di maltempo in Sant’Agostino), cui seguirà il giorno dopo, sabato 28, la replica alla stessa ora ma nell’incantevole Parco dei Mulini di Bagno Vignoni (presso S.Quirico d’Orcia), sarà ad opera della Compagnia “Al-Ghuri”.
Sono dervishi egiziani di grandissimo talento esecutivo. Il loro nome deriva dal costume che indossano, la “tannura”, ma probabilmente anche dalla dinastia degli Al-Ghuri, sultani del Cairo del 1500, il cui ultimo discendente Qansuh professava il sufismo ed amava la musica. Nel cielo di Siena, dopo la sera sfolgorante di suoni del 21 giugno, sta perciò brillando in questi giorni qualcosa che ha a che fare coi nostri sentimenti più intimi, col nostro senso del rifugio.
La “Ricerca del Divino” è una buona occasione per toccare da vicino questi particolari momenti.