Accompagnato al pianoforte dal fedele Mikhail Muntjan con cui divide oltre vent’anni di successi con “I Solisti di Mosca”, il violista russo presenterà brani di Marin Marais, Roman Ledenev, Clara e Robert Schumann.
Giorni fa, con Christophe Rousset, eravamo entrati nell’atmosfera barocca delle corti descrivendone quella sorta di filodiffusione che si spandeva nei saloni al suono del clavicembalo. Ma, se questa era la norma, ogni tanto, con l’uso sempre più frequente di violini e viole, fortepiano e pianoforte, ecco che nei palazzi cominciavano a formarsi capannelli di curiosi che occhieggiavano nelle stanze dei concerti stupendosi e stregandosi di quei suoni nuovi. Specialmente quando a suonare era Marin Marais. Non solo apprezzato solista della viola da gamba, ma fantasista supremo sullo strumento, Marais fu tra il 1600 e il 1700 il musicista francese di maggior prestigio. E non è che suonasse dove capitava. Per quarant’anni filati fu primo violista, concertatore, direttore e sicuramente anche maestro di cappella, e nientemeno che alla corte del Re Sole. Eseguiva arie tecnicamente impossibili, fatte di salti e passaggi stratosferici, eppure le rendeva semplicissime e divertiva da matti Sua Maestà e le sue concubine. Luigi XIV ne era così estasiato da nominarlo “Jouer de viole de la Musique de la Chambre du Roi” mettendogli anche a disposizione un’orchestra di 250 elementi dopo aver svuotato tutti i conservatori di Parigi. Cose da Re Sole, ma cose anche da virtuosi pazzeschi, come Marais. Di questo genere, e quindi stregandoci anche noi di abilità impressionanti e di squisitezze per le orecchie, i due brani del compositore francese che scaturiranno dalla viola di Jurij Bashmet e dal piano di Mikhail Muntjan. Il primo, tratto dalle “Pièces pour le viole” che Marais dedicò al suo mèntore Jean Baptiste Lully, è la “Suite in re minore”. Cinque movimenti tradizionali di base, aggraziati poi da minuetto e gavotta, e ne vien fuori qua un preziosismo e là una sottolineatura timbrica, l’acuto e il grave che si scambiano gioia alternandola a toni meditativi di contrabbando, tanto clandestini che la gioia fa presto a riprendere piede. Ancora più divertente e vivace il secondo brano, quello delle “Cinque Antiche danze francesi”, ricco di alcune arie decisamente goliardiche come la terza, “La Musette”, che descrive l’impiccio di una “borsa a tracolla”, e la quarta, “La Matelotte”, che dipinge il brio scanzonato di una impertinente “marinaretta”. Fra l’uno e l’altro Marais, tanto per riprendere fiato, Bashmet e Muntjan introdurranno un lavoro finemente introspettivo.
E parliamo di Roman Ledenev, compositore russo dell’era moderna, col suo “Poema per viola e pianoforte”. Quest’opera delicata delinea con un certo lirismo i tratti tipici del periodo sovietico e postbellico: grandezza, epicità, malinconia. Il brano, concepito all’origine per musica da camera, riscosse ampi consensi, negli anni ‘60, quando fu eccezionalmente eseguito nell’imponenza di un concerto per viola ed orchestra. E veniamo ai due Schumann. Apre Clara Wieck Schumann, e di lei c’è da fare tanto di cappello perchè è la sola – o la rara – grande compositrice nella marea di uomini d’oro della storia del classico. Fa tenerezza, questa donna. Costretta dal padre a mettersi al pianoforte a cinque anni, e impedita poi, per lungo tempo, a sposare Robert Schumann giusto perchè non venissero meno (in tasca all’avido genitore) quelli che oggi si chiamerebbero “gli ingaggi”. Un’eroina. Che si chiedeva: “…ma davvero io, unica donna, che possa dedicarmi a comporre? Mi spetta? Si, forse si. Non in altro modo riesco a dimenticarmi di ciò che è male. Così, almeno, posso vivere in un mio mondo fatto tutto di suoni”. Dolcissima. Peccato che le sue scritture non furono mai gratificate quanto meritassero. Proviamo, ora in Sant’Agostino, ad assaporare questa “Romanza op.22 per viola e piano”. E’ una delle sue tre “romanze” più belle, ispirate dall’amore per Robert e suonate per la prima volta da lei stessa, con Robert ad ammirarla, assieme al violista e amico Joseph Wilhelm. Quasi una favola, fra questi due innamorati, quella che oggi si chiamerebbe “di una volta”. Su quest’onda emozionale, probabilmente, Schumann compose nel 1851 i “Märchenblinder, “Quadri fiabeschi” toccanti ed estatici, qualcosa di caldo e vellutato che un paio di brividi non ce li risparmierà. Della stessa natura, ma qui con piccoli guizzi accesi, la seconda aria che è anche l’ultima della serata. Si tratta dell’”Adagio e Allegro in la bemolle maggiore op.70”, scritto due anni prima, e fatto eseguire all’amata Clara assieme all’altra storica spalla di duetti Friedrich Kistner.
A Jurij Bashmet e Mikhail Muntjan il compito di farci vivere queste mutevoli sensazioni. Il primo, docente chigiano dall’86 nonchè cattedra di viola al Conservatorio di Mosca, direttore dell’Orchestra Sinfonica Nuova Russia e, negli anni ‘90, per due volte miglior strumentista nel Classical Musical Awards. Il secondo, pianista insigne negli anni ‘60 e ‘70 dell’Orchestra della Radio Televisione Sovietica, bandiera a tutt’oggi della musica russa e della sua diffusione nel mondo. Entrambi hanno in comune le sonate più belle di Shostakovich e le collaborazioni strumentali con gente come Gidon Kremer, Elena Revich, la Mullova e la Gutman, Richter, Vengerov, Rostropovich, Boris Belkin. Un affresco di musica e musicisti prevalentemente russi che sembra unirli indissolubilmente alla patria e, in particolare, nel nome e nel legame con Fedor Druzhinin, violista per ambedue indimenticabile. Maestro di Bashmet, concertatore di Muntjan. Per noi, dopo questo gran bel concerto, indimenticabili saranno loro.