Le dichiarazioni di Claudio Martelli hanno sollevato polemiche
di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. E meno male che c’è qualcuno che ha ancora voglia di ridere. Qualcuno che trova ilare sentire che a Siena esiste una qual forma di accentramento di potere che si può assimilare ad una “dittatura”. Di quelle che non si possono definire se non con termini tipo “subdola”, “sotterranea”, da “colletti bianchi”.
Forse al vicesindaco Marzucchi – che però poi neppure ci spiega cosa ci sarebbe da ridere nella sua lettera di risposta alle esternazioni dell’ex ministro Claudio Martelli – sfugge l’evidenza della situazione senese. Una evidenza che pure è chiarissima a chi ci vive, a Siena.
E’ come se tutti fossero impegnati a negare che “il re è nudo” quando ormai l’evidenza è sotto gli occhi di tutti.
Da mesi, e non certo sotto l’influenza della campagna elettorale, si vive in un’ansia claustrofobica diffusa. Da molti mesi, in rete, nascono e si sviluppano blog in cui i senesi, sotto mentite spoglie (sic!), si parlano, cercano risposte, si confrontano.
Il desiderio di dare voce a fatti, cose e persone che non hanno voce – e domandiamoci tutti perchè – è cresciuto in maniera direttamente proporzionale alle scarse capacità dei nostri rappresentanti politici. E dell’informazione.
Per carità. Non è un fatto solo senese. Da anni, ormai, in Italia l’informazione è vittima eccellente degli editori sempre meno interessati a fornire un servizio, sempre più interessati a difendere una lobby – in una pericolosa commistione tra finanza e politica – a sostenere una corrente di pensiero rispetto ad un’altra. I giornalisti sono costretti a seguire la volontà dell’editore. Chi più volentieri, chi meno.
Il primato di Siena nell’essere specchio di certe “attitudini” italiane – ne ho parlato altre volte – dipende dalla fitta concentrazione di interessi politico-economici che ne fanno un unicum nel panorama nazionale e non solo.
Se il termine dittatura fa sorridere qualcuno – spero almeno amaramente – perchè ritenuto troppo “roboante”, allora occorrerebbe impegnarsi per coniare un nuovo termine. Una parola che, nel rispetto dell’italiano, possa esprimere una società in cui i vertici del potere politico, amministrativo, economico vengono destinati, con fedele rotazione, a pochi. Sempre gli stessi, si intende, che, allo scadere del mandato in un consiglio di amministrazione di una partecipata, di una banca, di una associazione di categoria, piuttosto che in un Comune, Provincia o Regione, si trovano impegnati in altre consimili istituzioni, cda, e via così. In un circolo vizioso senza fine. O che finisce con una tarda pensione. (Sono lavori che non causano sostanziali usure, questi).
Si potrebbe, un giorno, provare a fare degli schemi incrociati, di quelli che ogni tanto fa Beppe Grillo. Potrebbero venire fuori simpatici ricami. Grovigli, direi. Ripetizioni di incarichi che coinvolgono non solo politici di professione ma anche professionisti: sempre gli stessi avvocati, architetti, commercialisti, si trovano ad essere chiamati a mettersi al servizio della collettività o delle aziende – banche – istituti di riferimento.
Non si tratta di dittatura, assolutamente. Di oligarchia, forse. Neppure tanto illuminata se, dopo decenni di questa “gestione del potere” gli stessi vertici si trovano a reggere le macerie “con i denti” nel tentativo disperato di non far crollare il castello dorato che pure gli era toccato in eredità. Talmente presi a mantenere lo status quo che neppure si sono accorti che la gente, quella che a Siena ci vive da tanti anni, sa benissimo dove si trova a vivere e non c’è bisogno che qualcuno glielo spieghi.
Certo, se poi arriva un politico di razza, uno che guarda le cose dall’esterno e che ha l’occhio smaliziato a certi meccanismi “distoriti” e improvvisamente esordisce – e in più occasioni – con la frase: “ma il re è nudo”, allora si cerca di farci sopra una risata. Che passa la paura.
Intanto “il re resta nudo” e la speranza di vestirlo in corsa diventa impossibile, una volta che qualcuno ha rotto l’imbarazzante silenzio.
Qualcuno (Martelli) che non ci pensa proprio a dire che le cose stanno diversamente da come ha affermato. E che, anzi, ha indetto una conferenza mercoledì (20 aprile) all’Hotel Continental per chiarire alla stampa quello che pensa, senza fraintendimenti.
Ma dov’è lo shock? Cose simili a quelle dette da Martelli sono state già dette, per esempio, dalla Lega Nord di Siena, dalle Liste civiche senesi. Addirittura, in modi forse meno dirompenti ma simili, dall’Italia dei Valori. Dalla vecchia dirigenza, ovviamente.
Ne ha parlato tante volte un nostro commentatore della politica e della storia senese: Mauro Aurigi, candidato nella lista del Movimento 5 stelle. Ed in modo anche più duro ed incisivo di quello usato dall’onorevole Martelli.
Certo, però, se a dirlo è un ex ministro di Grazia e Giustizia, in piena campagna elettorale, la cosa si fa interessante. E solleva polemiche e risate esorcizzanti.
Un nome che richiama la stampa nazionale, che colpisce l’opinione pubblica, fa certo più effetto di un politico locale, di un semplice commentatore senese. Che può essere bellamente ignorato.
Qui la faccenda si è fatta più difficile da gestire e non si può ignorare.
Si è sentito parlare, nelle ultime settimane, di “Siena questione nazionale”. C’è chi scommette che proprio dalla città del Palio si possa dare inizio ad un nuovo modo di fare politica, di intendere la “costruzione” della società civile.
C’è chi, con una sensibilità che precorre i tempi – e speriamo non troppo – legge, negli eventi recenti, chiari segnali dei “venti che cambiano”. I tempi potrebbero essere maturi per inziare a rifondare l’umanità su principi che non facciano la gara ad essere sempre più in basso ma che anzi puntino in alto, verso una rinascita che è diventata, più che una scelta, una esigenza per garantire la vita.
Da Siena all’Italia l’insofferenza è tangibile e si è concretizzata, negli ultimi anni, in un disamore per la politica che ha toccato punte preoccupanti. Il partito del non voto, che ha colpito anche Siena, non è più ignorabile. Il disinteresse per la cosa pubblica si è tramutato in una forma di egoismo ad oltranza che non prevede un futuro, nè per chi lo pratica direttamente nè – soprattutto – per le generazioni a venire.
Per quanto tempo si potrà reggere una tale situazione?
Trascurando l’aspetto degli schieramenti politici (un meschino metodo per creare delle fazioni e sviluppare il tifo da stadio che poco ha a che vedere con la scelta di campo e con la riflessione senza schemi preconcetti) che insieme, senza distinzione, hanno concorso nella creazione di un poco limpido “sistema Siena” sarebbe opportuno andare al nocciolo della questione, guardare la città senza veli, senza pietose giustificazioni e voler fare un passo avanti. Andare oltre l’immobilismo che ha caratterizzato l’operato della politica negli ultimi anni.
Un esercizio di coscienza che non guasterebbe. Un ridare anima e corpo al “diritto di critica” che è sacro, in una democrazia che vuole davvero essere tale.