SIENA. Essere sollevato dall’incarico di amministratore delegato di banca Mps è un danno reputazionale che Guido Bastianini vuole discutere in tribunale. Il manager, che resta consigliere della banca, giudica immotivata la revoca dell’incarico e intende far valere in quella sede le ragioni che non ha potuto discutere nel cda di lunedì quando la sfiducia è stata decisa in sua assenza. Bastianini ha lasciato la riunione per un grave lutto e la discussione non è stata rinviata.
Sono diversi i motivi addotti a sostegno della revoca: dalla volontà di Bastianini di far camminare la banca sulle proprie gambe (“la posizione talvolta ambigua tra la definizione di un piano industriale stand alone e un piano al servizio di un’operazione strutturale”, posizione che ha costretto il cda a “numerose sedute al fine di dover costantemente chiarire le finalità del piano”), all’atteggiamento non proattivo nella ricerca di un partner per Mps.
Gli si contesta “la gestione dei rapporti con la stampa” senza il ricorso alle “strutture preposte” della banca “anche in relazione ai rapporti istituzionali”, nonché “la complessa gestione” di alcune situazioni che hanno coinvolto alcuni manager, gestione che “avrebbe richiesto un diverso livello di trasparenza nell’esecuzione delle delibere”. In più c’è anche “l’assenza di una chiara presa di posizione giunta talvolta sino all’astensione” su proposte arrivate al consiglio dalle strutture della banca. L’assenza di un “orientamento” dell’ad “in vicende di particolare delicatezza” avrebbe costretto il consiglio “ad agire in assenza di una precisa linea gestionale”.
Ci sono poi “i disallineamenti nell’esecuzione di alcune delibere consiliari” a lui delegate e “il fraintendimento creato rispetto all’audizione parlamentare, la cui segretazione non è stata preventivamente autorizzata” dal cda, che “non ha potuto licenziare il testo consegnato alla commissione né tantomeno conoscere il testo dell’adunanza”. Per assicurare il “successo” del piano industriale “sono stati a più riprese richiesti cambiamenti manageriali mai avviati” e per concludere è stata lamentata “la difficoltà di ottenere la proposta in merito ai piani di successione”, arrivata dopo diverse sollecitazioni lo scorso 31 gennaio. Nessuna contestazione, invece, alla regolarità dei conti, chiusi nel 2021 con un utile di 310 milioni di euro (il miglior risultato degli ultimi sei anni).
Toccherà ai giudici decidere se tali motivazioni giustifichino una revoca per giusta causa o si sia trattato una sfiducia pretestuosa, fatta per assecondare la decisione del Tesoro, che prima del consiglio lo aveva convocato chiedendogli di fare un passo indietro per un cambio di strategia.