SIENA. (a. m.) Nelle motivazioni della sentenza, uscite oggi, con cui il tribunale di Siena, il 21 ottobre del 2021 ha assolto Silvio Berlusconi e Danilo Mariani dall’accusa di corruzione in atti giudiziari, nella tranche senese del processo Ruby Ter perché il fatto non sussiste, si legge che “l’ipotesi, ad avviso del collegio, non ha trovato validazione e conferme nei dati probatori assunti nel contraddittorio delle parti e legittimamente acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, dovendosi pertanto confermare la presunzione di non colpevolezza di entrambi gli imputati, mediante pronuncia assolutoria adottata di cui al dispositivo”.
L’accusa aveva sostenuto che Berlusconi e Mariani ”avrebbero via via stipulato, in più occasioni, accordi plurimi e distinti, ma aventi tutti il medesimo oggetto, consistito nell’impegno da parte del primo a corrispondere al secondo somme di denaro con cadenza mensile, in corrispettivo dell’impegno dal secondo prima assunto e poi portato a concreta attuazione, a rendere falsa testimonianza nel procedimento ‘Ruby 7’, iscritto a carico del medesimo Berlusconi, nonché nel procedimento ‘Ruby 2’, iscritto a carico di Emilio Fede, Nicole Minetti e Dario Mora, celebrati entrambi davanti al Tribunale di Milano”.
Nelle motivazioni della sentenza si puntualizza anche che “la ricostruzione offerta dal pubblico ministero non sembra essere affatto tanto scontata da essere la sola e unica in grado di spiegare in modo credile l’insieme degli atti probatori raccolti in sede istruttoria. Non vi è in atti alcun dato probatorio diretto o di primo grado. In altri termini, dell’esistenza di un accordo conduttivo tra gli imputati (tale essendo il solo ed unico perno e ‘centro’ dell’ipotesi accusatoria) non vi sono prove ‘dirette’ di alcun tipo o genere”.
Secondo il tribunale senese in relazione ai pagamenti mensili di Berlusconi e Mariani per le sue prestazioni professionali puntualizza ancora che “da nessuna delle migliaia di pagine di trascrizioni di captazioni delle conversazioni telefoniche acquisite in atti, può trarsi la benché minima traccia, ovvero il più labile segno, dell’esistenza di un simile, ripetuto (e nel tempo asseritamente via via rinnovatosi) ‘pactum sceleris’ tra i due imputati. Nessuno dei (per vero pochi) testimoni escussi nel corso dell’istruttoria ha mai fatto cenno o riferimento alcuno (per averne preso conoscenza, saputo o altrimenti appreso, in via diretta o indiretta) all’esistenza degli accordi correttivi descritti in imputazione”.