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Sistema bancario italiano: crisi nella crisi

di Mauro Aurigi
 

SIENA. Nel marzo 2006, in piena campagna elettorale, un intervistatore televisivo domandò a Prodi: “Ma le banche italiane, per meglio difendersi dall’aggressione delle banche europee, non dovrebbero aggregarsi?”. Il professore, abbandonata la consueta bonarietà, strinse gli occhi dietro le lenti, sporse volitivamente la mascella in avanti e sbattendo il pugno su un immaginario tavolo esclamò: “Dovrebbero?!… DEVONO!”. Non lo disse, ma si capì bene che l’imperativo era categorico, la volontà granitica e i destini gloriosi della patria immancabili.
Stesse valutazioni pochi giorni dopo, al Forex di Cagliari, espresse Mario Draghi alla sua prima uscita pubblica come governatore della Bankit, con un’aggiunta dal sapore sinistro per Siena (“Basta coi campanilismi!”) chiaramente rivolta al Monte dei Paschi. A questa ennesima dimostrazione di dirigismo statale sulle banche e a questa “fatwa” contro i campanilismi, plaudirono subito il presidente dell’ABI, Maurizio Sella, il deputato Bruno Tabacci, presidente della Commissione per le attività produttive, e poi, senza arrossire, anche tutti quelli che avevano brigato per la privatizzazione del settore al fine di “liberare le banche dal controllo della mano pubblica” (sic!): Amato, Dini, Ciampi, Visco, D’Alema e Fassino tanto per citare i più importanti.
Sulle stesse posizioni si riconoscevano sia i media più o meno specializzati sia i soliti accademici (quelli del chi sa fa e chi non sa insegna). Non ce n’è stato uno che abbia dissentito, nessuno che abbia capito e/o denunciato che simili atteggiamenti di dirigismo non solo sono stati ereditati direttamente dal fascismo, ma hanno portato al fallimento ogni iniziativa imprenditoriale statale. Ricordiamoci che senza il sotterramento di migliaia di miliardi di lire nelle Partecipazioni statali, oggi il deficit pubblico italiano sarebbe quello di un paese normale e non il terzo del mondo (e la mafia, che di quel deficit soprattutto si è nutrita, sarebbe ancora la miserabile organizzazione criminale rurale che era in passato!).

Cosa stia succedendo in questo momento alle banche frutto prima delle privatizzazioni e poi delle concentrazioni volute dalle “migliori” menti del Paese (e figuratevi cosa possano essere le “peggiori”), è sotto gli occhi di tutti: come questuanti aspettano gli aiuti pubblici (ossia i nostri soldi) facendo il percorso inverso, dalla privatizzazione alla pubblicizzazione.

Il Monte poteva oggi essere la più grande e solida banca d’Europa (e senza un euro di sovvenzione pubblica!)

Le uniche banche che ora vanno bene, che non sembrano minimamente toccate dalla crisi (anzi!), sono quelle rimaste, manco a dirlo, all’antico regime: le piccole banche popolari e le ex casse rurali e artigiane diventate banche cooperative. Si tratta delle sole banche che si siano salvate dal dirigismo talibano delle privatizzazioni degli anni ’90 (si trattò di autentico fanatismo come spiegato meglio a http://www.aurigi.net/Federalismo_liberta.html) e da quello altrettanto talibano delle successive concentrazioni, tutte etero-dirette più o meno lecitamente (diverse di queste operazioni hanno avuto una severa sanzione da parte della magistratura). Queste piccole banche stanno filando come treni con crescite di affari e profitti di due cifre (anche il 30%).
Nella crisi attuale esse stanno assolvendo il ruolo che le banche pubbliche (pubbliche ma non statali) come Monte dei Paschi di Siena, San Paolo di Torino, Cariplo di Milano e la maggior parte delle Casse di Risparmio, hanno sempre rivestito dall’Unità d’Italia in poi nel corso delle crisi antecedenti alla loro privatizzazione: esse sono sempre state l’ultimo ed unico paracadute del sistema economico del Paese devastato da crisi come quella di fine ‘800, quella degli anni ’30 dello scorso secolo, quella del secondo dopoguerra, del Kippur, più altre minori.
Oggi anche le ex banche pubbliche sono in crisi come ogni altra banca privata e svendono i gioielli di famiglia per cercare di ricostituire almeno una parte della liquidità persa in quelle imbecilli avventure finanziarie del Reagan-bushismo che una banca pubblica italiana non avrebbe mai fatto. Tanto per fare un esempio: le banche ex banche pubbliche Intesa-San Paolo (Cariplo e San Paolo) e Monte dei Paschi hanno svenduto la loro partecipazione nella Visa. E chi ha comprato? le banche popolari, ovviamente!

Senza la privatizzazione forzata voluta dalle astruse menti dei nostri politicanti, oggi il sistema bancario italiano sarebbe il più forte d’Europa, anzi dell’Occidente. Una cosa è certa: se il Monte avesse conservato, secondo un costume radicato ormai da mezzo millennio, la liquidità che aveva all’atto della privatizzazione nel 1995 senza sperperarla in vendite al ribasso (partecipazioni e proprietà) e acquisti al rialzo vertiginoso (Banca 121, Agricola Mantovana e Antonveneta, solo per fare degli esempi) e l’avesse anzi aumentata evitando di distribuire agli avidi e rapaci azionisti utili spesso inesistenti (per far ciò si è prelevato da capitale e perfino dagli utili futuri di là da maturare), oggi il Monte, come ha sempre fatto in occasione delle piccole e grandi crisi, avrebbe potuto scegliere fior da fiore e a prezzi di fine stagione nel mercato delle banche in Europa, diventando la banca più grande e solida del continente. Non c’è alcun dubbio a tale proposito, come non c’è nessun dubbio che invece sia ora la più debole banca italiana e la prima che dovrà accettare l’elemosina dello Stato (elemosina per modo di dire: costerà, eccome se costerà, alla banca e alla Città).

Di tutto quanto precede, nonostante il polverone che ogni giorno si solleva sul nostro sistema bancario, non c’è neanche la minima eco nei media, anche in quelli specializzati. Ciò significa che coloro che hanno voluto le privatizzazioni e le concentrazioni bancarie, esponendo così il Paese a un rischio gravissimo (l’ipotesi che l’Italia non possa più riprendersi da una simile batosta viene sottaciuta ma non è ignorata negli ambienti più avveduti e franchi), continuano ad essere presentati come eroi e quindi non subiranno alcuna sanzione. E quest’ultimo è il segnale più inquietante che ci arriva da questa vicenda.

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