SAN FELICE. (a. p.) Alle tavolate non sono mai mancati commensali importanti a fare passerella insieme a giornali e televisioni per illustrare il progetto dell’orto sociale in virtù promozionale.
Alti prelati, dirigenti, amministratori locali: felici di presenziare per essere accanto a un nobile progetto di agricoltura biologica, condotto da ragazzi con difficoltà, aiutati da nonni rubati ai colonnini e ai bar, per rifornire le cucine del ristorante stellato del borgo.
Partito nel 2012, il progetto dell’Orto Felice, ha contribuito enormemente nella crescita e nella fiducia in se stessi di ragazzi che hanno avuto meno fortuna nella vita, riempiendo di carica solare e positiva le loro giornate.
Da mesi l’Orto è silente, solo per buona volontà, la terra è stata lavorata, ma un rinsecchito filare di fave rimane l’unica nota di coltivazione.
Spente le telecamere, riposti piatti e tovaglioli, chiusi i taccuini i beneficiari dell’Orto, nonni e ragazzi, sono a casa, i loro nomi rimangono appesi ognuno nell’angolo riservato alla custodia dei propri attrezzi di lavoro, fermi, inermi.
Gennaro, il simpatico ciuchino che sorveglia le caprette e accoglieva le persone, ha uno sguardo triste e malinconico dovuto alla solitudine, non si rianima neanche quando riceve in dono un’accurata selezione delle più buone erbe di campo, vuoto il pollaio.
Ufficialmente, a sentire chi c’è, il tutto è chiuso per la pandemia, mentre il fatto è che non si ascoltano le normali esigenze delle persone, mentre da troppo lontano si dettano i testi. Silenzio di tomba in un territorio in cui le politiche sociali sono spesso brevi comparsate sui giornali attraverso comunicati.