di Vito Zita
SIENA. Lunedì 30 novembre lo Stato federale etiope ha dichiarato di aver vinto contro il governo dissidente del Tigray dopo più di tre settimane di conflitto. Ma i leader del TPLF dicono che la lotta non è finita. Il governo federale etiope, dopo numerosi tentativi di dialogo con i vertici del TPLF, e in mancanza di risultati soddisfacenti, ha avviato la sua azione militare dopo l’attacco al deposito governativo nella zona orientale del Tigray all’inizio di novembre. I militari governativi avrebbero potuto impiegare solo in qualche giorno per risolvere militarmente la crisi bombardando i centri nevralgici del Tigray ma non lo hanno fatto, mentre il TPLF non solo ha lanciato dei razzi su Asmara, sperando di allargare il conflitto e contare su un intervento internazionale a loro sostegno, ma ha anche distrutto l’aeroporto di Axum oltre ad altre infrastrutture. Con la disfatta del TPLF del Tigray, anche l’Eritrea ne troverà giovamento poiché direttamente confinante.
Le fonti che giungono da chi si trova nei luoghi del conflitto riferiscono che Il TPFL ha compiuto atti indescrivibili, hanno lapidato a Mai-Kadra circa 500 Amhara e i soldati etiopici di stanza a Makalle gettandoli in fosse comuni. Sempre secondo queste fonti, membri del TPLF erano in procinto di attaccare i depositi di armi nella capitale Addis Abeba, aiutati da infiltrati nelle gerarchie governative. La popolazione del Tigray parla apertamente di un clima di terrore, denunciando di essere usati come scudi umani. I vertici del TPFL, che si tenevano ben nascosti, vengono ritenuti i soli responsabili di quello che è accaduto, come i sabotaggi che hanno provocato l’interruzione dei sistemi di comunicazione e le centrali elettriche per creare il panico fra la popolazione e aizzarla contro il governo centrale. Un tentativo che non ha avuto il successo sperato perchè la popolazione non ha appoggiato le mire secessioniste del TPLF. I rifugiati fuggiti dal Tigray, oltre 100mila, non hanno ad oggi ancora la possibilità di mettersi in contatto con i propri familiari a causa delle interruzioni delle linee di comunicazione, avvenuta proprio a ridosso dell’inizio delle operazioni militari del governo federale etiope avvenute lo scorso 4 novembre.
Amnesty International denuncia che le testimonianze che arrivano dai luoghi dove si è combattuto sono abbastanza contrastanti ma sottolinea anche che il governo etiopico ha espulso i giornalisti indipendenti di Reuters, minaccia i giornalisti indipendenti di Bbc e arresta i giornalisti indipendenti di Addis Standard. Ovviamente Amnesty International fa presente nei suoi comunicati, avendo come mirata destinazione il governo federale etiopico, che attaccare deliberatamente civili e strutture civili è vietato dal diritto umanitario internazionale e costituisce crimine di guerra. Sottolinea anche che sono vietati anche attacchi indiscriminati e sproporzionati, ma invita le parti in conflitto a garantire l’accesso senza limiti alle organizzazioni umanitarie in tutto il Tigrè, perché l’accesso con gli aiuti necessari sono stati ostacolati fin dall’inizio dell’offensiva militare del 4 novembre. Dopo aver preso Mekelle il 30 novembre, il governo del Primo Ministro Abiy assicura di voler catturare i leader TPLF. Scenari di guerra che passano quasi inosservati nel mondo occidentale anche a causa di uno schieramento, poco palese, nei confronti di una sola delle parti. Se fosse avvenuta la secessione del Tigray dall’Etiopia, come era nelle loro intenzioni, l’Etiopia sarebbe diventata una nuova Jugoslavia. Va anche sottolineato come le riforme che il Primo Ministro Aby sta cercando di attuare dalla sua nomina, fra mille difficoltà, risultano democratiche e a favore della popolazione, immiserita da decenni di dittatura. Guarda caso proprio negli anni in cui i politici del Tigray erano al potere.