...– legittimi, adottivi o aspiranti che siano – ancora capaci di credere in un futuro di Siena all’altezza del suo passato
di Mauro Aurigi
LA “COMPLICATA” ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DELLA SIENA MEDIEVALE
Una caratteristica fondamentale dell’assetto istituzionale delle città-stato del basso Medioevo italiano, caratteristica che, vista l’epoca, potremmo già definire “democratica”, fu:
- la larga partecipazione alle assemblee legislative: a Siena, che ha sempre avuto dai 20.000 fino a un massimo di 50.000 abitanti, il Consiglio generale contava normalmente intorno ai 300 individui, ma con punte che, a seconda dell’importanza del tema trattato, potevano arrivare fino a 800;
- la breve scadenza della carica a consigliere: a Siena un anno con la esclusione della immediata rielezione se non dopo anni;
- l’espulsione, a Siena, da ogni altra carica pubblica detenuta da familiari del neo-eletto consigliere.
Ci sarebbero altre cose da dire, come per esempio l’organo di governo: era composto da pochi individui in carica solo per brevi periodi. A Siena solo per 60 giorni ― senza possibilità di rinnovo alla scadenza se non dopo anni ― chiusi a chiave nel Palazzo Pubblico con la possibilità, nell’intero periodo, di avere solo contatti pubblici e con la proibizione assoluta di contatti con privati, moglie compresa.(*)
Oppure si potrebbe parlare delle decine di arti, gilde, corporazioni, contrade, compagnie laicali, religiose o militari ecc., a cui ogni civis era associato e attraverso le quali partecipava indirettamente anche alla gestione della cosa pubblica. Per cui poteva essere difficile trovare un cittadino che nell’arco della sua vita non avesse avuto almeno un incarico pubblico e/o politico.
LEONARDO BENEVOLO: PIU’ PUNTI A SIENA CHE A FIRENZE
Non manca ovviamente chi ancora oggi critichi e perfino ridicolizzi la complessità e la macchinosità di una simile architettura istituzionale. Ma c’è la “prova del nove” a letteralmente sputtanarli: da quel “regime complicato” discende direttamente il periodo storicamente più luminoso di ogni altro che la Penisola abbia mai vissuto (l’Umanesimo/Rinascimento) e che sta alla basse dello stesso moderno pensiero politico occidentale.
Ma ancora di più questo fenomeno è evidente per la città di Siena, tanto che Leonardo Benevolo, uno dei massimi storici dell’urbanistica, così scrive ne La città nella storia d’Europa (Laterza, 1993), dove dedica a Siena, tra le altre cose, addirittura più spazio che a Firenze (sintetizzo):
“ La forza e la vitalità di una città dipendono soprattutto dall’essere città di mare o di pianura, per cui nessuna città “di montagna” in Europa, da quando la civiltà urbana ha ricominciato a fiorire dopo l’anno Mille, ha potuto competere con le città marinare o planiziali. Con un’unica eccezione in tutta Europa: Siena che fino al XV secolo seppe tenere orgogliosamente testa a città come Firenze, Venezia, Milano o Parigi.”
E aggiunge:
“Siena è il risultato della sfida paradossale di un gruppo umano ad un ambiente che ne esce addirittura reinventato.”
QUANTO DEVE LA SIENA DI OGGI ALLA SIENA DI IERI!
C’è infatti da ricordare che Siena soffriva (e soffre) di una collocazione geo-politica di assoluto svantaggio: territorio pochissimo abitato, collinare, privo di pianure (a parte la molto malsana Maremma) e di corsi d’acqua, lontano dal mare, e confinante a sud direttamente con il retrogrado Stato della Chiesa e i suoi agguerriti feudatari: insomma era (ed è) la più meridionale e periferica città dell’evoluto centro-nord. Per giunta litigiosa e riottosa come poche altre.
Che dire? Quel periodo, ritenuto politicamente così complicato, è stato invece così felicemente prolifico di eccellenza che ancora oggi a Siena la maggior parte della popolazione vive direttamente o indirettamente (e abbastanza bene!) di ciò che fu fatto allora: l’Università quasi millenaria che era arrivata a 25mila studenti (su 50mila abitanti!); l’Ospedale ultramillenario, il più antico del mondo e il più grande della Toscana nella città più piccola della Regione; la Banca, la più antica del mondo che prima della crisi era arrivata a 33.000 dipendenti; e infine il Turismo (ovviamente per tacere del resto, come la Contrade e il loro Palio).
Se il nostro odierno Stato unitario, che ha 1000 parlamentari, dovesse averne in proporzione quanti ne aveva l’allora Repubblica di Siena (ossia coloro che furono i massimi realizzatori delle miracolose fortune della Siena di allora e di oggi), l’Italia dovrebbe avere di norma almeno 360mila parlamentari. E in casi eccezionali, come per una dichiarazione di guerra per esempio (**), dovrebbe averne almeno 960mila.
IL FASCISMO IN ITALIA NON E’ NATO CON MUSSOLINI NE’ E’ MORTO CON LUI
Sì, avete letto bene: minimo 360mila, massimo 960mila. Erano esagerati i Senesi di allora? No, sapevano che quanti più fossero quelli che decidevano, ossia quanto più vasta fosse la rappresentanza popolare, tanto più equa e giusta sarebbe stata la legiferazione. E’ una cosa che oggi noi dovremmo sapere bene: quanti più sono quelli che decidono tanto più ampi sono i livelli di democrazia applicati e tanto più evidenti sono i benefici che ne derivano. Benefici che non sono solo di carattere etico, ossia libertà, indipendenza, giustizia, uguaglianza, cooperazione ecc., ma anche e soprattutto di carattere materiale: prosperità diffusa, cultura, arti e scienze ecc. In una parola: CIVILTA’.
La cosa è preoccupante. Il ministro Di Maio ha appena dichiarato a Repubblica che “Il taglio dei parlamentari renderà le Camere più efficienti”. E’ giovane e ignorante: neanche si rende conto di riecheggiare (in sedicesimo, ben inteso!) il Mussolini del 1922 che definì il Parlamento “aula sorda e grigia” dove far bivaccare i suoi manipoli. E uguale sentore di fascismo ha l’appellarsi del ministro al popolo affinché voti SI’ contro i politicanti del Palazzo che, dice lui, invece voteranno NO. Sarà pure una combinazione ma il Di Maio di oggi assomiglia anche fisicamente, se si sta alle foto, al giovane Mussolini quando, neanche trentenne, era dirigente del Partito socialista.
Tutto quanto precede solo per spiegare perché il 20/21 settembre voterò un grande, enorme NO!al referendum per la perniciosissima riduzione del numero dei nostri parlamentari.
(*) All’epoca si sapeva quali rischi comportassero gli abboccamenti tra politici e privati cittadini, oggi non più o, peggio, quegli abboccamenti sono valutati positivamente: i politici ne menano un gran vanto (vedi Matteo Salvini, indefessamente su e giù per l’Italia a farsi riprendere in pubblico invece di lavorare al ministero). Da notare anche che da quel glorioso periodo, se non si va a spulciare i manoscritti originali, non è giunto sino a noi neanche il solo nome di un capo politico, a parte Pandolfo Petrucci che per una ventina d’anni a cavallo tra Quattro e Cinquecento si insignorì a Siena (fu cacciato poi a furor di popolo).
(**) Ho letto da qualche parte che allora chi avesse votato a favore della guerra doveva obbligatoriamente armarsi e partire con l’esercito. Si capisce al volo che se si adottasse oggi una simile legge, la stragrande maggioranza delle guerre oggi sarebbero finite pima di cominciare. E comunque vale la pena di ricordare qui che le ultime due guerre a cui, violando la nostra Costituzione, l’Italia ha partecipato sono quelle contro la Serbia nel 1999 e contro l’Iraq nel 2003: mezzo mondo contro due piccole nazioni, con lutti e danni incalcolabili a carico della popolazione civile dei due paesi. Non mi risulta che i due nostri Capi del Governo di allora, due autentici “democratici” come rispettivamente D’Alema e Berlusconi, abbiano consultato il Parlamento e meno che mai il popolo. Ma, e questo è certo, “consultarono” e si affiancarono, vergognosamente agli USA. Quanta differenza con l’antica Repubblica di Siena!
Diffondete gente, diffondete!!!