SIENA. Da Pierluigi Piccini riceviamo e pubblichiamo.
“Per continuare sempre sull’attività del Comune toccheremo solo alcuni punti relativi all’innovazione di sistema. Il Palazzo delle Papesse che non fu soltanto una esperienza espositiva la gestione entrò direttamente nel dibattito artistico dell’epoca e nell’ammodernamento dei processi produttivi. L’approntamento dello spazio costo all’amministrazione circa ottocentomila euro, rapportato ai valori attuali. Importo ridicolo se paragonato ai costi dei musei di arte contemporanea in Italia. Tutto ciò grazie anche all’intesa che il Comune trovo a Roma con gli esponenti della Banca d’Italia. La gestione del direttore Risaliti si caratterizzò come una voce di rottura rispetto all’ufficialità delle gallerie e degli apparati economici ad esse collegate. Ricordo all’inaugurazione le discussioni con Valerio Adami e per altri aspetti con Enrico Crispolti (Transavanguardia) a cui avevo chiesto fra le altre cose di venderci la sua collezione, cosa che non andò in porto. Anche a Federico Zeri avevo fatto la stessa proposta essendo, a quel tempo, ambedue membri della commissione ministeriale voluta da Walter Veltroni Ministro per i beni culturali. Positivamente, viceversa, si concluse l’acquisizione della biblioteca e fototeca di Giuliano Briganti nucleo originario di altre biblioteche senesi che sarebbero state ospitate al Santa Maria e nei piani dell’amministrazione comunale digitalizzate.
Ma il Palazzo delle Papesse fu qualcosa di più. L’Accademia Multimediale che aveva l’obbiettivo di legare la ricerca artistica con la produzione. I corsi furono frequentati da studenti di tutto il Paese pagando una quota di iscrizione considerevole. Il primo anno le lezioni furono tenute dall’architetto Massimiliano Fuksas e riguardavano l’arredo urbano, gira ancora una pubblicazione dei risultati del corso. Si voleva dimostrare che l’arte si poteva ripagare senza bisogno dei galleristi entrando direttamente nel mercato e rispondendo, anche, a delle richieste della committenza pubblica. E cosi fu per alcune operazioni con i relativi contratti. In seguito si è trasformata in uno stipendificio. Lasciamo perdere alcune mostre cito solo Duccio di Boninsegna e alcune operazioni di politica culturale come Tony Gragg e la lupa di Giuliano Vangi (altre lupe di artisti contemporanei dovevano essere fatte superando i calchi) con quella colonna in marmo lucido. E arriviamo al Santa Maria della Scala. Il Comune ottenne la proprietà dell’edificio dalla Regione presieduta da Vannino Chiti e i lavori di ristrutturazione partirono quasi subito per la Cappella del Manto. I Degenti giravano ancora tranquillamente e curiosavano sui lavori in corso. L’amministrazione approntò il bando per la progettazione per il recupero la cui commissione fu presieduta dall’architetto Zacchiroli e vide vincitore Guido Canali. Anche questa decisione presa in autonomia dalla commissione va inscritta nei rapporti non idilliaci fra il sindaco Piccini e Massimo D’Alema.
Nello stesso periodo il Comune mise in piedi il progetto finanziario per far fronte agli investimenti necessari al recupero. Progetto che vide, fra i primi in Italia l’emissione dei Boc dei titoli specifici la cui normativa era di recente emanazione. L’emissione fu accompagnata da una Banca specializzata che ne riconobbe la validità. Anche qui il tutto era congegnato in modo che l’Antico Spedale potesse arrivare in breve tempo al pareggio di bilancio. Non sto qui a ricordare tutti i documenti allegati all’operazione e come funzionavano le coperture economiche che sono a disposizione, forse, del Comune. Il garante dell’emissione dei Boc fu la Fondazione del Monte dei Paschi. Problema: il problema è consistito nel fatto che le amministrazioni successive non avviarono da subito la ristrutturazioni e affidamento delle parti commerciali portatrici di reddito, come previsto dal progetto, e sostituirono la funzione del garante (la Fondazione) che divenne finanziatore. Il resto è legato alle sorti di Palazzo Sansedoni. Questo cambiamento allungò i tempi e non permise di raggiungere l’autonomia all’ente che nel frattempo era tornato alle dirette dipendenze del Comune (Cenni).
Siena Parcheggi costituì la risposta della Giunta al tentativo di far costruire, in project financing, i parcheggi previsti dal piano regolatore Secchi ad un unico soggetto di area socialista. I costi sarebbero stati a carico dell’amministrazione come avviene quasi sempre in questi casi, chi costruisce non gestisce. Viceversa, l’edificazione avvenne senza pesare sul bilancio comunale, ma ricorrendo alla finanza privata e la Siena Parcheggi ha costituito per anni un vero “tesoretto” per il bilancio comunale (finanza creativa). Per la sosta il Comune mise in piedi una carta città che permetteva la riduzione delle tariffe per i senesi, il tutto avvenne con la collaborazione del Monte dei Paschi.
E poi il Palio…
Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi fermo qui riportando solo alcuni episodi che permettono di capire come eravamo, in alcuni casi addirittura principali attori, capofila di un rinnovamento che partiva dall’amministrazione comunale. Di questo, a conclusione, parleremo nel prossimo articolo dal titolo: il tradimento”.