di Michele Pinassi*
“Ogni viso è un abisso, e se lo guardi fissamente, proverai vertigine”
(Armando González Torres)
SIENA. Il sospetto che le mascherine, indossate per prevenire la diffusione del SARS-CoV-19, infastidissero il riconoscimento facciale c’era. I training degli algoritmi di riconoscimento facciale, infatti, avvengono utilizzando volti scoperti. Indossando la mascherina, che copre quasi la metà del volto, molti algoritmi hanno difficoltà a individuare i volti.
Secondo lo studio Face recognition accuracy with masks using pre-COVID-19 algorithms, realizzato da Mei L. Ngan, Patrick J. Grother e Kayee K. Hanaoka, che ha preso in esame gli algoritmi di riconoscimento facciale sottoposti alle verifiche del FRVT –Ongoing Face Recognition Vendor Test – del NIST, il tasso di errore di un volto senza mascherina si attesta intorno allo 0,3% (“the most accurate algorithms will fail to authenticate about 0.3% of persons while falsely accepting no more than 1 in 100000 impostors“) mentre, indossando il dispositivo di protezione, gli errori crescono anche fino al 50% (“some algorithms that are quite competitive with unmasked faces (FNMR<0.01) fail to authenticate between 20% and 50% of image“).
Il tasso di riconoscimento dipende sia dalla qualità dell’algoritmo che dalla tipologia e modalità di vestizione della mascherina: più il volto è coperto, più sarà ovviamente difficile il riconoscimento. Nello studio individuano tre modalità: naso scoperto, naso parzialmente coperto e mascherina in prossimità degli occhi. Senza sorpresa, il tasso di errore aumenta all’aumentare della superficie coperta.
Nei paesi come gli USA, dove il riconoscimento facciale è usato in modo massivo soprattutto dalle forze di Polizia per identificare i cittadini (ricordate la polemica di qualche tempo fa, durante le proteste Black Lives Matter?), la problematica è presa particolarmente sul serio dal dipartimento di sicurezza nazionale: la mascherina rende problematico identificare le persone.
Per la cronaca, da qualche anno anche in Italia viene fatto ampio uso del riconoscimento facciale da parte delle Forze dell’Ordine, utilizzando il sistema SARI – Sistema automatizzato per il riconoscimento facciale delle immagini. Secondo l’esperto Stefano Quintarelli, il database contiene le informazioni facciali di circa un italiano su tre (16 milioni di records).
Senza scendere ulteriormente in dettagli tecnici difficili da comprendere (chi volesse, può accedere liberamente allo studio in oggetto), questo dimostra come una misura di prevenzione sanitaria può avere effetti (positivi) anche sul “mondo della sorveglianza” in cui viviamo. Dove migliaia di telecamere dotate di riconoscimento facciale monitorano tutti i nostri spostamenti, talvolta riuscendo anche a carpire le nostre emozioni (ne ho parlato a proposito del Digital Signage, ricordate?).
Algoritmi di riconoscimento facciale non sono solamente nelle telecamere, ma anche le stesse fotografie poi caricate sui Social, che riconoscono e “taggano” automaticamente i volti presenti: indossare una mascherina può prevenire inconsapevoli identificazioni non desiderate.
Per coloro che fossero particolarmente sensibili e paranoici sul tema, segnalo che da pochi giorni è disponibile in rete una nuova tecnica di “cloacking“ che rischia di rendere inutilizzabili gli algoritmi di riconoscimento facciale attraverso la manipolazione “a livello pixel” delle fotografie: Fawkes: Protecting Personal Privacy against Unauthorized Deep Learning Models, di Shawn Shan, Emily Wenger, Jiayun Zhang, Huiying Li, Haitao Zheng e Ben Y. Zhao del SANDLab di Chicago.
Per concludere, questo conferma che ogni nuovo cambiamento –positivo o negativo– pone nuove sfide. E la tecnologia, ormai, è al centro di ognuna di esse.
*www.zerozone.it