SIENA. "L'ignoranza e il pregiudizio sono gli anelli deboli". Lo dice Jury Chechi, testimonial della settima Giornata Nazionale dell’Epilessia, che si svolgerà in tutta Italia domenica (4 maggio), con il sostegno della LICE, Lega Italiana Contro l'Epilessia, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero della Salute.
All’iniziativa aderisce anche il policlinico Santa Maria alle Scotte con i medici esperti
in epilessia dell’età adulta e pediatrica delle unità operative di Neurologia e Pediatria. Dalle 10 alle 13, presso la sede dell’URP (piano 1S, di fronte all’edicola) i neurologi e neuropediatri Raffaele Rocchi, Giampaolo Vatti, Paolo Balestri, Mariangela Farnetani, Salvatore Grosso, saranno a disposizione di tutti i cittadini per fornire informazioni su una malattia che colpisce quasi un italiano su 100, con attenzione alle problematiche sociali e psicologiche che ne derivano.
“La crisi epilettica – spiega il neurologo Raffaele Rocchi, coordinatore dell’evento – è provocata da una scarica elettrica anomala delle cellule nervose del cervello, causata da fattori genetici o metabolici, oppure da lesioni cerebrali acquisite nel corso della vita, per traumi, ischemie-emorragie, tumori, che aumentano l’eccitabilità delle cellule nervose”.
La diagnosi di epilessia è clinica, coadiuvata da indagini strumentali come l’elettroencefalogramma, la risonanza magnetica ed altri esami di laboratorio.
“Per giungere ad una corretta diagnosi – prosegue Rocchi – è di estrema importanza la descrizione delle crisi, sia da parte dei pazienti che da parte di coloro che occasionalmente assistono ad una crisi. Da qui nasce lo scopo primario della Giornata per l’Epilessia, iniziativa mirata a diffondere una cultura epilettologica più consapevole, sia negli operatori sanitari, sia in altre figure potenzialmente a contatto con persone affette da epilessia, come insegnanti, associazioni, politici e cittadini”. Non solo, risulta fondamentale essere informati per evitare discriminazioni. “Se vogliamo che il paziente intraprenda un processo di guarigione completo – conclude Rocchi – occorre che ad un approccio medico corretto venga affiancata un’attività di rimozione delle discriminazioni nella società. Solo così il paziente ormai guarito potrà tornare ad avvalersi dei propri diritti”.